La storia di San Paolo Albanese
L’insediamento pare che risalga al 1534 ed il primo documento, in cui compare il toponimo di Santo Paulo, è del 1541.
Successivamente gli è stato assegnato il nome di Casalnuovo di Noya, che mantenne fino alla prima metà del XIX secolo.
Nel periodo fascista assunse, temporaneamente, il nome di Casalnuovo Lucano e nel 1962, con D.P.R., venne, definitivamente, cambiato il nome da Casalnuovo Lucano in San Paolo Albanese (albanese, come attributo perché edificato dagli albanesi nella prima metà del XVI secolo). Gli abitanti di San Paolo Albanese restano ancora oggi fortemente legati alla loro storia e per questo, ancora oggi mantengono diversi usi e costumi della cultura “arbëreshe” d’origine.
Un luogo magico tutto da scoprire
San Paolo Albanese sembra quasi un luogo fatato, dove il tempo si è fermato. Il centro storico del piccolo borgo è caratterizzato da case a schiera, che si sviluppano quasi incastrandosi l'una dentro l'altra, con struttura muraria tutta portante, in comune, realizzata in pietra e malta povera, che risulta testimonianza dell’architettura del passato. Diversa struttura architettonica e distribuzione degli spazi hanno invece i palazzotti nobiliari, risalenti al XVIII secolo.
Oltre a questi edifici sono presenti anche altre interessanti costruzioni storiche, come i mulini Blumetti e Affuso e la fornace che si trova nella località di Giansilvio. Il borgo di San Paolo Albanese è ricco di mastri artigiani che lavorano pietra, legno e vimini, senza tralasciare le sapienti mani di chi confeziona le bambole che indossano i tradizionali costumi albanesi.
Nel "Museo della Cultura Arbëreshe", infine, sono custoditi gli elementi caratterizzanti la cultura della minoranza etnico-linguistica insediatasi, nel XVI secolo, in questo territorio. Esso è testimonianza storica e, insieme, laboratorio culturale.
All'interno, i visitatori potranno immergersi completamente nella cultura che ha dato vita al borgo di San Paolo Albanese, aggirandosi tra testimonianze di vita, costumi e usi tradizionali. Si potranno osservare oggetti antichi ma ancora oggi presenti nella quotidianità e scoprire l'arte della lavorazione della ginestra, una pianta che anticamente veniva trattata per produrre i tessuti con cui erano confezionati gli abiti della tradizione "arbëreshe".
San Paolo Albanese e i piatti da non perdere
La tradizione gastronomica di San Paolo Albanese è fortemente legata alla terra e i piatti tipici contadini, poveri e semplici, costituiti da sapori genuini e gustosi. Il pane, preparato ancora in casa con lievitazione naturale, si sposa perfettamente con salumi e formaggi del posto. Per quanto riguarda i primi piatti, brillano “shtridhëljat”, piatto di pasta fresca, fatta a mano, mentre i secondi sono quasi sempre preparati con carne di capretto o agnello.
Tipici sono anche i dolci, preparati in particolare nelle festività natalizie e pasquali, tra i quali spiccano “pettula”, una specie di crepe, con ripieno dolce o salato, cucinata su pietra arroventata e “nusëza” la bambola realizzata, con pasta “di pane di Pasqua” (kuljaç), per i bambini.
I dintorni immersi nella natura
San Paolo Albanese sorge su un punto decisamente privilegiato, sovrastando la valle in cui si snoda il fiume Sarmento.
Tutto il territorio di San Paolo si trova nel cuore "Parco Nazionale del Pollino” e vi sono punti panoramici da cui vengono ammirate le cinque vette del Pollino.
Gli affacci panoramici offerti dal piccolo borgo consentono di apprezzare scorci davvero suggestivi; esplorando il Bosco Capillo si entra in contatto con una natura incontaminata.
Sul monte Carnara, dalla seconda metà di maggio e fino alla fine di giugno, si può ammirare “Banxhurna ka Karnara”, la peonia rosso-purpurea dei detti popolari, non a caso, un canto popolare del borgo recita: "queste nostre ragazze, vestitesi a nuovo come gentildonne, con guance rosse come chicchi di melograno, come peonia su un monte" (in lingua arbëreshe: këto vashasitë e tona çë na undruan si xhinduldhona, faqe kuqe si koqe sheg, si banxhurna tek një breg).
Il territorio nei dintorni di San Paolo Albanese è ricco di cespugli di ginestra e piante selvatiche che accompagnano i visitatori tra percorsi naturali magici e meravigliose fontane presso cui sostare per refrigerarsi e prendersi una pausa dalla passeggiata.
La tradizione religiosa
La religione, cristiana cattolica di rito bizantino, è un altro elemento fortemente caratterizzante del piccolo borgo di San Paolo Albanese. La Chiesa “Esaltazione Santa Croce”, impreziosita da icone, sembrerebbe edificata nel XVIII secolo su preesistente edificio religioso, così come la seicentesca Cappella di "San Rocco", al cui interno, invece, si trovano diversi affreschi.
Il misticismo del rito bizantino si esprime meglio con le icone che con le statue, ma la mistione di riti, verificatasi nei secoli, ha fatto sì che a San Paolo Albanese si facciano processioni con statue. Il 16 agosto ricadono i festeggiamenti dedicati di Santo Patrono, San Rocco; muovono davanti alla statua in processione, Himunea, il tronetto votivo, portato a spalla e realizzato con spighe di grano tenero e grano duro, e il Ballo della falce.
Comune di San Paolo Albanese
Provincia di Potenza
Regione Basilicata
Abitanti: 232 sanpaolesi
Altitudine centro: 800 m.s.l.m.
Il Comune
Via A. Smilari, 19 - Tel. 0973 94367
IN AUTO
IN TRENO
II matrimonio è la cerimonia religiosa e civile, che conserva il maggior fascino della tradizione di San Paolo Albanese. Si svolgeva e si svolge con un cerimoniale particolare, tipico dell’etnia d’origine.
Due settimane prima del matrimonio vengono fatti gli inviti agli ospiti. Il giovedì precedente la preparazione del letto degli sposi. In tempi passati c’era una settimana completamente dedicata al confezionamento dei dolci, da offrirsi il giorno del matrimonio.
Uno degli aspetti peculiari del matrimonio, a carico della famiglia della sposa, è la preparazione del “Tarallo della sposa - Taralj i qethur”, che viene consumato durante la cerimonia religiosa. In passato, il pomeriggio del giovedì, dopo la visione del corredo della sposa e la preparazione del letto, la vallja dello sposo e della sposa, cortei di donne abbigliate con l’abito di gala arbëresh, giravano per il paese cantando (kurrëxhinën).
La mattina del matrimonio gli ospiti si recano rispettivamente dallo sposo o dalla sposa per un rinfresco. A versare il vino agli ospiti e a fare gli onori di casa, gli invitati troveranno un congiunto che, appoggiata sulla spalla sinistra, avrà una tovaglia bianca con le frange e nelle mani una grossa caraffa (kartuçia) di terracotta.
Dalla casa della sposa parte il corteo degli ospiti che va a prendere lo sposo. La sfilata accresciuta, successivamente, dagli invitati dello sposo ritorna alla casa della sposa. Sarà il padre della sposa ad accogliere il futuro genero ponendogli la domanda: “Do nuse o skëmandilj?” (Vuoi la sposa o la dote?). Risposta gradita e bene accetta è: “Donja nusën e skëmandiljin!” (La sposa e la dote!).
Un congiunto dello sposo entra in casa per invitare la sposa a seguirlo, simulandone il ratto, poiché il suo posto è nella nuova famiglia. Gli sposi partono separatamente; solo sulla soglia della chiesa la sposa prenderà il braccio dello sposo, a cui il primo testimone slaccerà una scarpa, che sarà riallacciata alla fine della cerimonia. Sulla soglia, dove li attende il sacerdote, con due candele accese, pronunceranno il loro “sì” alla presenza dell’officiante e dei testimoni (sempre in numero dispari: tre, cinque,…). Durante la funzione religiosa, in rito bizantino, molto suggestiva e simbolica è la parte dello scambio degli anelli (gli sposi arbëreshë porgono la mano destra all’anello nuziale), con la recita della formula augurale: “Rrofshi, ljuljëzofshi e më mos u martofshi” (Viviate a lungo, fiorite e più non sposatevi) e dell’apposizione sulla testa degli sposi di corone di fiori, che vengono incrociate, così come le vere nuziali, per tre volte dal sacerdote e dai testimoni. La corona è qualcosa che completa, perfeziona, dà splendore e gloria. Ciascuno degli sposi riceve l’altro come corona, cioè come perfezionamento, completamento, splendido ornamento.
In segno della nuova unione, il sacerdote porge agli sposi, un pezzo del “Tarallo della sposa - Taralji i qethur”, e del vino che bevono dal “calice comune” che subito dopo viene frantumato, quale simbolo della totale ed esclusiva fedeltà perenne.
Segue una vera e propria danza liturgica, detta “danza di Esultanza”, in cui il sacerdote, gli sposi ed i testimoni, partendo dalla postazione centrale si muovono lungo la navata laterale di sinistra e rientrano attraverso la navata centrale, testimonianza e simbolo del lungo percorso di vita in Cristo, che la nuova famiglia è chiamata a dare di fronte a tutto il popolo, rischiarato dalla luce della fede (le candele) e col sostegno della religione (il sacerdote).
All’uscita dalla chiesa il corteo nuziale si avvia alla casa dello sposo, dove nusja (la sposa) è accolta dalla suocera con la recita di una poesiola (kënkën) in rima baciata, preparata per l’occasione. I festeggiamenti tradizionali, fino a qualche decennio fa, prevedevano, la notte della vigilia del matrimonio, la serenata alla sposa al suono delle zampogne, attualmente vengono usati anche altri strumenti.
Il matrimonio è uno dei momenti più suggestivi e coinvolgenti della tradizione arbëreshe, cui partecipa tutto il paese, ed è, anche, una delle occasioni importanti in cui le donne albanesi indossano l’abito di gala e fanno corona agli sposi.
- Banxhurna ka Karnara, la peonia rossopurpurea dei detti popolari, originaria dell'Europa meridionale e delle vicine regioni asiatiche;
- Si racconta che in tempi passati e lontani i nuovi nati venivano portati sul monte Carnara, tenuti sollevati sulle braccia, affinché potessero vedere il mare Ionio da cui erano giunti i progenitori, mentre le madri intonavano un canto dolce e nostalgico Moj e bukura More (Oh bella Morea).
- Curioso è anche il racconto che gli anziani fanno del sabato di Shala (e shtunja Shales), secondo cui in questa notte è possibile vedere i defunti che rientrano nel loro mondo, dopo la settimana di commemorazione ad essi dedicata, in cui hanno goduto della libertà, concessa dal Signore Gesù, di coabitare con i vivi, sebbene in una condizione di invisibilità, accendendo una candela fatta di cerume umano.