L'odierno centro abitato di Cerenzia sorse nella seconda metà dell'Ottocento, quando i cerentinesi si spostarono per la malaria più a ovest rispetto alla vecchia rocca, Akerentia (detta anche Acheronthia o Acerenthia), un tempo sede diocesana, con chiaro riferimento al fiume Acheronte (o Akeronte), antico nome del Lese, che scorre ai piedi della rupe.
Quando molti paesi del comprensorio erano semplici «casali», Acerenthia fu un’importante e gloriosa città bizantina.
Sul pianoro dove sorgeva l’antico centro, sono ancora evidenti le tracce di un consistente agglomerato urbano, tra cui spiccano, in particolare, un edificio sacro in gran parte conservato e, in posizione eminente, i corposi resti di una struttura più elaborata identificata come il Vescovato.
Acerenthia, Acherontia o Geruntia. Sul suo nome e sulle sue origini storia e leggenda si confondono, conferendole un particolare fascino di mistero. Fondata secondo alcuni dagli Enotri, secondo altri dal mitico Filottete, l’urbe era cinta da altissime mura naturali e dominava, così come domina tuttora, la vallata del fiume Lese, un tempo forse chiamato Acheronte, da cui ne deriverebbe l’etimologia.
Cedimenti continui delle strutture murarie, difficoltà di approvvigionamento di acqua potabile, malaria e terremoti, costrinsero gli abitanti ad un esodo progressivo, che intorno alla metà del 1800 culminò con l’abbandono definitivo ed il trasferimento nel sito attuale. Nonostante l’abbandono, il rapporto degli abitanti con la loro antica città non si è mai interrotto. La visita ai resti della città morta è un continuo pellegrinaggio, che in occasione della festa dell’ "Ecce-Homo", diventa una vera e propria processione di tutto il borgo.