Si tratta di una grande caverna risultante dal franare di enormi massi sullo scosceso fianco della montagna. Era già stata descritta nel libro Alle porte d’Italia dallo scrittore Edmondo De Amicis, che la visitò nel corso di un’escursione in Val d’Angrogna.
Il luogo e il nome che lo ricorda, Chiesa nella tana, testimonia che per secoli fu proibita al popolo la lettura della Bibbia e la sua predicazione. Chi riceveva in casa un predicatore poteva essere accusato e condannato dal tribunale dell’Inquisizione. I Valdesi perciò per pregare e lodare Dio insieme al Barba si rifugiavano in luoghi nascosti: la tradizione vuole che la Gueiza d’la tana sia stato uno di questi luoghi.
In realtà, non è raro trovare nelle Alpi cavità del terreno più meno profonde o caverne come questa, con tutta probabilità usata dall’uomo come rifugio fin da quando è giunto nella valle, e che la fantasia popolare ha sempre ritenuto abitate da personaggi misteriosi: folletti, fate, orchi. Quelle della Val d’Angrogna sono invece popolate da uomini e donne legati a ciò che costituisce l’identità profonda della comunità valdese: la storia.
È probabile che il toponimo abbia origine antica, ma il luogo assume rilievo particolare agli inizi dell’Ottocento quando diventa una delle tappe obbligate per i viaggiatori inglesi in visita alle Valli. E’ poco probabile, però, che i valdesi abbiano scelto un luogo che poteva risultare pericoloso per le loro adunanze: i documenti parlano più di località appartate, boschi, radure; in caso di attacco la grotta diventa infatti una trappola senza via di scampo.