L'origine del borgo di Monte Vidon Corrado è tuttora poco chiara, poiché le notizie storiche si mescolano con elementi leggendari e favolosi. Sebbene non si conoscano reperti archeologici risalenti all’epoca preromana rinvenuti nel territorio comunale, la contiguità con Falerone (Falerio Picenus) lascia pensare che anche sulle colline montevidonesi vi fossero insediamenti rimandanti al III secolo a.C., quando il Piceno entrò nella sfera di influenza di Roma.
Il fortilizio di Monte Vidon Corrado fu nominato per la prima volta in un documento del 1229, nel pieno della lunga lotta tra il Papato e l’imperatore Federico II, associato ad un gruppo di castelli appartenenti a signori laici di stirpe longobarda o normanna con cui costituì un baluardo militare- feudale alquanto ricco e unitario. Nel 1300 passò sotto la giurisdizione della città di Fermo per poi subire il dominio dei Malatesta tra il 1413 e il 1416, anno in cui Ludovico Migliorati, Signore di Fermo recuperò Monte Vidon Corrado insieme a Mogliano, Falerone, Massa e Montappone. Dal secolo XVI fino al 1860 Monte Vidon Corrado fu stabilmente sotto il dominio dell’amministrazione pontificia, facente parte della Delegazione Apostolica di Fermo, e la sua storia si confuse con quella di Monte Giorgio “di cui subì l’avversa e prospera fortuna”. Non risultano altre fonti d’archivio che possano fornirci dati certi e attendibili, eccetto quelle riguardanti la popolazione che alla fine del XIX secolo era di 1300 abitanti di cui solo 150 vivevano nel centro principale.
Nella parte alta del paese sono ancora visibili due torrioni che appartenevano alla cinta muraria del castello medievale risalente ai secoli XIV-XV. Legata a questo castello è la leggenda di Corrado, figlio di Fallerone I, che avrebbe aiutato il fratello Guidone contro un feudatario vicino che ne voleva assoggettare il territorio. Il messaggero, giunto a cavallo, avrebbe consegnato a Corrado una missiva su cui era scritto: "Corri Corrado che Guidon combatte". Da qui si fanno derivare i toponimi di Monte Vidon Corrado e Monte Vidon Combatte.
Piazza della Vittoria rappresenta il cuore del paese che conserva quasi intatta la struttura architettonica del castello medievale. Qui si affacciano alcuni palazzi signorili, la canonica da cui si accede ad uno dei torrioni dell’antica fortezza e la chiesa parrocchiale dedicata a San Vito Martire. Dalla piazza si diramano vicoli e piazzette su cui si affacciano eleganti abitazioni civili, un palazzotto quattrocentesco con decorazioni in cotto e arco ogivale senese, il centro studi e la casa natale del pittore Osvaldo Licini. Un tempo nel centro storico (precisamente nel palazzo in cui oggi si trova l’archivio comunale) era presente una sorta di ambulatorio e pronto soccorso in cui medici e infermieri visitavano ed eseguivano piccoli interventi chirurgici, l’Ospedale Ilari. Vi erano poi alcune classi della scuola, delle botteghe di artigiani (come quella del calzolaio e del fabbro, forse da qui deriverebbe il nome di via Fucina), una locanda e ovviamente la sede del municipio che è presente ancora oggi.
Il panorama che si può ammirare a Monte Vidon Corrado spazia dal mare Adriatico ai monti Sibillini, dalle campagne coltivate ai suggestivi borghi arroccati sulle colline circostanti. L’incantevole terrazzo panoramico attiguo alla casa di Osvaldo Licini e il parco pittorico che nella bella stagione si tinge dei colori della tavolozza liciniana sono luoghi privilegiati per potersi immerge in quella natura suggestiva e incontaminata che tanto amò il grande maestro di Monte Vidon Corrado.
Una menzione speciale va all'enogastronomia marchigiana, ai prodotti tipici del territorio del borgo, quali olio d'oliva, insaccati e formaggi, sino ai piatti tipici, assolutamente da provare, come i Caciù co’ la fava (sfoglie sottili di pasta con ripieno di purea di fave) e la pizza con i fichi, un dolce povero realizzato con la pasta del pane arricchito con fichi secchi e noci, tipico del periodo natalizio.
Borgo di Monte Vidon Corrado
Comune di Monte Vidon Corrado
Provincia di Fermo
Regione Marche
Abitanti: 731 montevidonesi
Altitudine centro: 429 m s.l.m.
Il Comune
Piazza Osvaldo Licini 6 - Tel. +39 0734 759348 (int.5)
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Monte Vidon Corrado insieme a Falerone, Massa Fermana e Montappone fa parte dello storico distretto della paglia, che ha radici settecentesche. Anticamente gran parte della popolazione era impiegata nell’intero ciclo di produzione, dalla raccolta alla lavorazione delle trecce, alla realizzazione dei cappelli fino alla vendita nelle fiere e nei mercati.
Il grano seminato a novembre veniva mietuto con la falce messoria già alla fine di giugno, poco prima della perfetta maturazione per ottenere un imbiancamento naturale. I covoni, portati sull'aia con il carro, venivano appoggiati ad una scala di legno, posta orizzontalmente. Uomini, donne e ragazzi sfilavano manipoli di spighe mettendole tutte alla stessa altezza, un uomo li raccoglieva in un manipolo più grosso e con una falce tagliava via le spighe. I nodi dei culmi messi ad uno ad uno alla stessa altezza, con le forbici della potatura, venivano tagliati via sotto e sopra ed in ultimo si sfilavano le guaine fogliari. Le paglie erano graduate secondo il calibro al fine di avere una treccia omogenea. Questa operazione si effettuava manualmente valutando ad occhio ma riusciva perfetta soltanto con l'uso della macchina "vagliatrice". I fili di paglia eguagliati venivano legati in mazzetti che aperti a ventaglio si lasciavano, verticalmente nell'aia, esposti all'azione del sole e delle rugiade per un imbiancamento naturale. Se l'operatore riteneva l'imbiancamento non perfetto ricorreva all'accensione di zolfo che poneva in casse di legno già piene di mazze di paglie per un'intera notte.
Le paglie prima di essere intrecciate venivano bagnate affinché durante la lavorazione non si spezzassero. Le trecce più comuni erano quelle di quattro fili di paglia, di sette e di tredici. Una volta realizzata, la treccia veniva ripulita dagli spuntoni delle rimesse con un coltello o con le forbici. Per rendere la treccia più malleabile alla cucitura (soprattutto a macchina) si passava attraverso due rulli di legno o di ferro (torchietto). La treccia veniva venduta a matasse (pezze) ottenute dall'avvolgimento di essa su uno strumento di misura chiamato "passetto". Il cappello tradizionale detto "della mietitura" veniva cucito a mano con un ago grosso e il refe; orlo contro orlo prendendo una maglia all'interno e una all'esterno. Grazie all'abilità della cucitrice i punti del refe risultavano invisibili scomparendo tra le maglie della treccia. In epoche più recenti la cucitura si effettuava con una macchina da cucire a pedali, poi successivamente motorizzata. Si dava corretta forma e lucidatura, infilando il cappello in una forma di legno e lisciandolo, facendo pressione, con un mazzuolo di legno duro; inoltre si usava anche un ferro da stiro scaldato sulla brace.
Successivamente questa fase si è evoluta con l'utilizzo di una serie di presse di legno e di ferro. Il cappellaio ambulante trasportava ed esponeva i cappelli su una stanga: una "pertica" di salice messa a bilancia su di un pungolo che veniva infisso nel terreno nei momenti di vendita o di pausa.