Non sono molte le notizie storiche che riguardano il territorio di Fuipiano: posto alla testa della valle Imagna, in posizione defilata rispetto ai principale centri, ha sempre mantenuto le caratteristiche del piccolo borgo montano, con i propri abitanti per lo più dediti a vivere di ciò che la natura forniva loro. Conseguentemente le attività principali sono sempre state quelle del pastore, dell'allevatore, del boscaiolo e del carbonaio, ovvero colui che trasformava la legna in carbone vegetale. Il toponimo sembra trovare origine nella parlata locale, il dialetto bergamasco: si pensa infatti possa derivare dal termine foipià, che indica un pianoro con molti faggi, anche se altre correnti di pensiero ritengono derivi da faveanud, inteso come pozza d'acqua, elemento molto presente sul territorio comunale.
Le origini del paese dovrebbero comunque risalire al periodo medievale quando il territorio, fino ad allora scarsamente antropizzato, vide un incremento abitativo dovuto alle lotte tra guelfi e ghibellini. Queste infatti costringevano alcuni esponenti dell'una o dell'altra fazione (nonostante la valle fosse considerata una sorta di feudo guelfo) ad abbandonare i propri luoghi d'origine e di trasferirsi in posti al riparo dalle persecuzioni avverse, tra cui appunto la zona di Fuipiano. In questo periodo la famiglia di maggior importanza era quella dei Locatelli, la quale gestiva le principali attività anche nei paesi limitrofi, uno dei quali (Locatello) prese il nome dallo stesso casato.
Gli abitanti stessi infatti, cercarono di mantenersi estranei alle dispute di potere, cosa che garantì loro tranquillità al riparo da scontri e ritorsioni sia durante le suddette lotte, sia dopo l'avvento della Repubblica di Venezia, che tuttavia occupò soltanto una parte del territorio comunale, tra cui la contrada di Arnosto dove vi pose una dogana, considerandolo una sorta di avamposto verso il Ducato di Milano che aveva il controllo sulla restante porzione di territorio. I secoli successivi non videro fatti di rilievo coinvolgere la piccola comunità che, forte del proprio isolamento, seguì le vicende del resto della provincia senza parteciparvi in modo diretto. Tuttavia il paese risentì notevolmente della mancanza di occupazione, fattore che determinò l'emigrazione dei propri abitanti verso città e nazioni che potessero garantire maggior reddito. Soltanto negli ultimi decenni il turismo e la conseguente rivalorizzazione del territorio hanno arginato questo fenomeno, dando nuova linfa al paese.
Arnosto è la più significativa tra le strutture rimaste sul territorio valdimagnino. Anticamente fu sede della Dogana Veneta fino al 1797 dove si delimitava il confine tra fra il ducato di Milano e la Serenissima. L’antico borgo risale al XIV secolo e conserva edifici di grande valore artistico. L’accuratezza del disegno si nota non solo nella sovrapposizione delle rocce dei tetti, ma anche nella composizione delle case, così nella pregevole fattura dei portali, significativi sia per la lavorazione del legno che per quella dei batacchi e dei catenacci. Anche se quasi scomparsi, gli affreschi, spesso simboleggiano la forte religiosità popolare del luogo.
Un’altra testimonianza d’interesse è la piccola cappella dedicata ai santi Filippo Neri e Francesco da Paola. Può contenere al massimo 20 persone e custodisce un dipinto di Francesco Quarenghi, nonno di Giacomo Quarenghi. Anche il museo offre uno spaccato di strumenti da lavoro contadino, oltre alle fotografie che narrano le persone del luogo. I loro volti raccontano meglio di qualunque cosa l’incanto di questo paese.