Non c’è città o borgo in Italia che non vanti una propria tipicità o piatto tipico ed è proprio questo che rende il patrimonio gastronomico italiano variegato e inimitabile. A Natale la fanno da padrone i dolci e tra questi non si può non menzionare la Pitta ‘mpigliata. Nonostante sia diffusa su tutto il territorio calabrese in forme o con ingredienti differenti, questo dolce a forma di rosa è tipico di San Giovanni in Fiore, borgo della provincia di Cosenza: proprio qui, nel cuore del “Parco Nazionale della Sila”, nel 2009 è stata preparata la Pitta ‘mpigliata più grande al mondo, lunga ben 130 mt.
La Pitta ‘mpigliata, da dono nuziale a offerta agli dei
Le origini della Pitta ‘mpigliata fondono storia e leggenda: il nome pitta rimanda infatti al greco picta che significa decorata, dipinta. Si narra infatti che nella Magna Grecia si usasse offrire questo dolce agli Dei, nel corso di celebrazioni pagane: la leggenda narra del giovane guerriero Diodoro che, colpevole di non ricambiare le avances di Athena, fu da questa rinchiuso in un labirinto. Solo la sua amata Diomira, tramutata in lumaca da Afrodite, riuscì a liberarlo con la complicità di una conchiglia che protesse i due innamorati fino all’uscita del labirinto. Pare furono proprio Diodoro e Diomira a inventare la pitta, per ringraziare la dea Afrodite per il suo prezioso aiuto.
Con l’avvento del cristianesimo e la nascita delle prime chiese, la Pitta ‘mpigliata cominciò a essere offerta in onore della Vergine Maria, tanto che è anche chiamata in Calabria Pitta della Madonna.
Dal punto di vista storico, il primo documento che cita la Pitta ‘mpigliata è una sorta di contratto prematrimoniale stipulato nel 1728 tra due futuri coniugi, dove si invita la famiglia dello sposo a preparare una Pitta ‘mpigliata con largo anticipo. Ciò conferma che nel ‘700 in Calabria la Pitta ‘mpigliata era un piatto tradizionale dei matrimoni: doveva poi prepararsi almeno 2 giorni prima, per permettere ai molti ingredienti di amalgamarsi tra loro.
Come si prepara la Pitta ‘mpigliata
La Pitta ‘mpigliata, per la quale è stata fatta richiesta al fine di ottenere la “Denominazione di Origine Protetta”, richiede molti ingredienti per la sua preparazione, ma il risultato è davvero gustoso.
Per l’impasto
500 gr di farina
100 gr di zucchero
100 ml di vermouth
100 ml olio di oliva evo
1 cucchiaio di grappa della Sila
1 cucchiaio di liquore all’anice
1/2 cucchiaio di chiodi di garofano macinati
1/2 cucchiaio di cannella
50 ml di succo di arancia
1 bustina di lievito per dolci
25 gr di miele di arancia
sale
Stendere in maniera abbastanza sottile entrambi i panetti in dischi di pasta, uno dei quali deve essere suddiviso in tanti rettangoli, stando attenti a rialzare i bordi degli stessi: in questo modo si ottengono delle barchette da riempire con il ripieno.
Per il ripieno
200 g di mandorle tostate tritate
200 g di noci tritate sgusciate
250 g di miele d’arancia
50 g di pinoli tritati
100 g di uvetta sminuzzata
100 g di fichi secchi sminuzzati
1 cucchiaino di cannella
1 cucchiaio di zucchero
liquore anice q.b.
scorza grattugiata
Su una teglia ricoperta di carta da forno, posizionare il disco di pasta intero con sopra le roselline di pasta farcite, disposte in maniera concentrica. Dopo aver sollevato i bordi del disco inferiore, creando una specie di contenitore e spolverato con lo zucchero, si inforna per 30-40 minuti a 180°.
Si consiglia di consumare la Pitta ‘mpigliata dopo un paio di giorni perché, essendo un dolcetto natalizio secco, ha bisogno di tempo affinché in bocca sprigioni tutti gli aromi contenuti.
Foto di peperoniepatate.com
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