Il santuario della Beata Vergine delle Grazie è una chiesa di stile gotico lombardo e sorge nel piccolo borgo di Grazie. Edificata su un ampio piazzale, la basilica sovrasta e s’affaccia sulle acque palustri del Mincio creando un’atmosfera suggestiva per le numerose delegazioni di turisti e fedeli devoti alla Madonna.
Le origini della chiesa sono da connotare addirittura al 1200. Nella località, allora chiamata Prato Lamberto, su di un piccolo promontorio emergente da un dedalo di flora e canne lacustri, sorgeva un altarino con l’immagine della Madonna col Bambino a cui i pescatori del lago e i contadini erano particolarmente devoti. La devozione della gente della zona era antica e ben consolidata, in quei tempi l’ambiente lacustre era sì fonte di sostentamento ma anche di lavoro pesante, stenti e malattie, superstizioni e paure, la forza della fede era quindi di conforto e quella cristiana era solo successiva a quella anteriore pagana. Dal piccolo altare, nel corso degli anni, venne edificato un sacello con una cappella votiva per proteggere l’immagine sacra dalle intemperie. Col crescere della struttura architettonica, crebbe anche l’interesse per questa immagine miracolosa, diffondendo la sua fama per tutto il territorio limitrofo. Verso la fine del XIV secolo, per grazia ricevuta, Francesco Gonzaga fece erigere un tempio alla Madonna che aveva fatto cessare l’epidemia di peste, che aveva colpito i mantovani.
Dal 1412 fino alla fine del secolo vennero edificati il convento, la scuola, l’oratorio, la biblioteca, fino a quando nel 1521 sorse attorno al piazzale un portico di 52 arcate per il riparo dei mercanti dato che l’11 agosto 1425 il marchese Federico Gonzaga aveva fatto spostare la “fiera di Porto” iniziando la tradizione della fiera di ferragosto alle Grazie. Durante la Prima guerra d’Indipendenza contro l’Austria del 1848, qui fecero campo le truppe del Granducato di Toscana prima di recarsi alla famosa Battaglia di Curtatone e Montanara. A seguito della Battaglia di Goito del 30 maggio 1848 le truppe del Regno di Sardegna entrarono in paese. Re Carlo Alberto era curioso di visitare il Santuario in quanto intendeva osservare i manichini presenti all’interno. Tuttavia quando l’esercito arrivò all’entrata trovò i portoni chiusi. Si seppe solo in seguito che all’interno del Santuario i cittadini avevano portato circa cento feriti dell’esercito austriaco e che, spaventati, volevano nasconderli alla vista dell’esercito sardo. Il Generale Eusebio Bava motivò il gesto con la “tendenza verso la causa imperiale” degli abitanti del paese.
I manichini sono stati realizzati con la tecnica della cartapesta, a grandezza naturale (attribuite per la maggior parte a Frate Francesco da Acquanegra) e dello stesso povero materiale si pensavano costruiti anche gli indumenti e le armature che li ricoprono e gli elmi e le armi che li finiscono. Per quanto riguarda gli abiti, si è scoperto si trattava di pezzi di cotone tessuto applicati alle statue con ganci, risalenti alla fine dell’Ottocento perché di fabbricazione industriale. Dodici sono le armature che sono state riassemblate dalle varie statue. In realtà, da studi approfonditi si è scoperto che ben sei di queste hanno origine ben più nobile della creduta. Si tratta infatti di armature difensive in stile gotico-italiano realizzate nel 1400, sono completi che rivestivano completamente il cavaliere perché costituiti da vari elementi d’acciaio che andavano componendosi armonicamente assicurando una protezione efficace.
Presenza del tutto particolare, stupisce il visitatore che entra nel Santuario, un coccodrillo (Crocodilus niloticus) imbalsamato è appeso al soffitto al centro della navata. Nell’antichità venivano viste con promiscuità le figure di draghi, coccodrilli o serpi e spesso, in epoca cristiana, venivano associate al male, considerate personificazioni terrene del diavolo, animali che inducono al peccato.
La collocazione di questi animali nelle chiese ha quindi un forte significato simbolico, come furono nelle chiese medievali l’ubicazione di fossili preistorici, quindi, incatenare l’animale in alto, nella volta della chiesa vuol dire renderlo innocuo, bloccare il male che rappresenta e nello stesso tempo esporre un monito concreto per i fedeli contro l’umana predisposizione all’errore.
Legati al coccodrillo delle Grazie e alla sua derivazione sono nate diverse leggende e teorie, c’è chi riporta la sua fuga da uno zoo esotico privato di casa Gonzaga, chi ha elaborato racconti più vicini alla natura miracolosa dell’evento: due fratelli barcaioli stavano riposando sulla sponda del fiume, a un tratto uno dei due venne assalito dal coccodrillo. L’altro, chiedendo l’intercessione divina, si armò di coltello e riuscì a uccidere il predatore. Sono stati ipotizzati anche altri significati e collegamenti (anche tra altre strutture architettoniche – simbolismi presenti nella chiesa e i versetti sull’Apocalisse) ben più elaborati si pensano riconducibili ai Francescani Minori Osservanti (guardiani della chiesa proprio durante il secolo in cui venne esposta la reliquia del coccodrillo) e all’alchimia medievale che attuavano.