L’Italia è un caleidoscopio di bellezza e diversità. Una ricchezza che si racconta attraverso paesaggi, città e anche attraverso i dialetti, dialetti che a volte diventano vere e proprie lingue. In alcuni luoghi della Penisola, infatti, non si parla soltanto l’italiano tanto che vi sono territori dove storie e tradizioni dal profumo esotico si mescolano a quelle locali. È il volto di certi borghi che si vestono di un abito variopinto chiamato cultura. Una tappa da mettere nel proprio itinerario conduce fino a Fiumalbo, in provincia di Modena, un angolo di mondo al confine con la Toscana, incastonato tra la confluenza del Rio delle Pozze e del Rio Acquicciola. Questi due corsi d’acqua, che fanno da perimetro all’antico centro storico, potrebbero ricondurre anche al toponimo “flumen album”, riferito alle loro acque spumeggianti. Dai documenti che sono arrivati fino ai nostri giorni sappiamo che Fiumalbo vanta almeno mille anni di storia, ma le sue radici sono sicuramente più profonde e ormai perdute nei secoli.
Fiumalbo si può definire un’enclave linguistica, ma lo spirito celtico che pervade questo borgo va oltre. Basta avventurarsi tra i boschi di abeti e faggi che tingono di verde l’Appennino Tosco-Emiliano e lasciarsi sorprendere dal simbolismo che si ritrova nella valle dominata dal Monte Cimone. Giunti qui, a narrare le usanze di un popolo apparentemente lontano, sono le pietre: è su di esse che sono incisi elementi apotropaici per scacciare streghe e sortilegi nefasti. Tra di essi spiccano i visi sgraziati delle “marcolfe”, ossia delle sculture che si usava porre sulle facciate delle abitazioni per non fare avvicinare le entità maligne. Sopravvivono inoltre diverse capanne, testimonianze di una quotidianità che in epoche remote dava un soffio di vita al “borgo dei celti”. Questi edifici rurali potrebbero risalire alla discesa dei Celti in Italia nel IV secolo a.C., non a caso ricordano i casoni di Scozia e Irlanda, a pianta rettangolare in muratura di sasso e malta di terra, certuni ancora con la copertura di paglia di segala ben visibile.
Come già accennato, peculiarità di questo borgo è il suo dialetto. Se ci si sofferma ad ascoltare gli abitanti che chiacchierano tra le vie, si percepisce immediatamente come i suoni si differenzino sia dalle inflessioni tipicamente emiliane sia da quelle toscane. Ci si imbatte dunque in qualcosa di davvero curioso, una transizione tra la linguistica gallo-italica e quello toscana. All’orecchio arriverà uno strano mélange di parole, per certi aspetti simile al veneto e al ligure, con deliziose sfumature modenesi. L’influsso toscano però, non si riflette solo nel dialetto, ma anche, per esempio, nelle architetture delle chiese. È sufficiente recarsi nella piazza centrale di Fiumalbo per osservare l’elegante portale rinascimentale della chiesa di San Bartolomeo Apostolo, la parrocchiale il cui rifacimento risale al 1592. Di rilievo sono le opere pittoriche ivi custodite come la tavola cinquecentesca con Madonna e Santi attribuita al Saccaccino, e quella col Redentore di scuola toscana.
Per immergersi nelle atmosfere di questo borgo, vi sono molteplici possibilità. Gli amanti della natura possono percorrere i sentieri che da Fiumalbo procedono verso il Parco del Frignano andando a piedi o in mountain-bike, oppure a cavallo. Chi invece desidera dedicarsi all’arte, può visitare la chiesa dell’Immacolata Concezione le cui pareti vantavano preziosi affreschi del Saccaccino; quella di San Michele Arcangelo e ancora quella di Santa Caterina, divenuta sede del Museo di Arte Sacra. Infine, non mancano gli eventi. Un calendario fitto dove due sono le date di cui prendere nota. Si parte con il 23 agosto, giorno in cui si celebra la festa di San Bartolomeo, patrono della città. In tale occasione il paese diventa un tripudio di luci e dopo la processione il cielo si colora con lo scintillio dei fuochi d’artificio. Altro appuntamento da non farsi sfuggire è il presepe vivente del 24 dicembre: dal 1957, ogni due anni, la popolazione rievoca la Natività con tanto di Re Magi in sella ai loro destrieri e capanna del Bambinello.
Di Gaia Guarino