Lingue e culture diverse, a volte incomprensibili, eppure entrate interamente nella cultura e nei paesaggi italiani. L’Italia multietnica è anche questo: l’eredità di popoli che in tempi remoti o nei secoli passati hanno lasciato la loro impronta nelle architetture, nelle lingue e nelle storie del Belpaese. Basti pensare alla cultura ladina in Alto Adige o all’influsso della cultura araba in numerose zone della Penisola. Borghi e città, sapori e monumenti spesso riassumono antiche tradizioni che diventano parte del patrimonio italiano, apportando ricchezza e unicità. Si scopre quindi che un piatto tipico italiano come i “carciofi alla Giudia” sono in realtà una ricetta di origine ebraica nata nel ghetto di Roma e diventata una delle proposte culinarie classiche della capitale. Cominciamo il viaggio. O apriamo semplicemente un ricettario, che dice sempre qualcosa in più rispetto alla lista di ingredienti e procedimenti.
Chi dice Ossola o Valsesia dice Walser. Quella catena alpina che scorre tra Italia e Svizzera a nord del Piemonte così ricca di valli, borghi e tradizioni uniche, custodisce anche l’antica cultura Walser, che ancora oggi influisce profondamente nella vita quotidiana. I Walser sono una popolazione di origine vallese che nel Duecento si avventurò oltre la Svizzera per colonizzare questi lembi di terra. Una cultura molto particolare, che qui si tramanda ancora con una lingua propria, con famiglie che conservano gli antichi cognomi, con nomi di cibi locali e prodotti locali, come il Bettelmatt, il formaggio “eroico” prodotto in quota in Val d’Ossola. La stessa fondazione di Alagna avvenne proprio dall’espansione dei Walser provenienti da Macugnaga. Oggi, oltre a diverse case Walser, ad Alagna si può visitare il museo: inaugurato nel 1976, è una baita perfettamente conservata, datata 1628. Da nord-ovest ci spostiamo a nord-est per immergerci nella cultura ladina delle popolazioni che vivono in Alto Adige; il ladino è una miscela di cultura celtica con il retico e il latino, sviluppato nel primo secolo dopo Cristo. Il ladino era allora la lingua più diffusa sulle Alpi e si parlava dal Danubio al Lago di Garda e dal Ticino a Trieste. E in valli come la Val Badia, è possibile ascoltarlo ancora oggi.
Può capitare di sentire una parlata antica e sconosciuta anche passeggiando tranquillamente per alcune località in Sardegna. Qui, tra le viuzze e le casette colorate, sembra di essere in qualche caruggio ligure. E anche uno “strano” dialetto è parlato unicamente qui, una miscellanea di culture e lingue differenti. Si tratta del tabarchino, l’idioma dei Tabarchini, ovvero gli abitanti dell’isola di San Pietro e del comune di Calasetta, sulla vicina Isola di Sant’Antioco. I tabarchini sono i discendenti di alcuni coloni liguri stanziatisi nel XVI secolo nell’Isola di Tabarca in Tunisia - da cui il nome - che si trasferirono nelle isole del Sulcis alla metà del XVIII secolo. Originarono quindi nel tempo una loro parlata affine al ligure, il tabarchino, estendendo successivamente le origini liguri e tunisine a usi, tradizioni e gastronomia. Tra le specialità vi sono gustose ricette a base di pesce come il cascà, il cous cous tabarchino e il pilau, una reinterpretazione del pilaf nordafricano con un sugo di crostacei.
Se c’è un cibo che più di tutti riassume la fratellanza tra i popoli è il cous cous: si gusta tutti insieme, si mangia con le mani e si personalizza con gli ingredienti e le spezie tipici del luogo dove viene preparato. Non a caso il “Cous Cous Fest”, il festival internazionale del cous cous che si tiene ogni anno a San Vito lo Capo, si chiama “Festival internazionale dell’integrazione culturale”. E si tiene in Sicilia, una regione molto legata a questa prelibatezza, tipica del trapanese, dove è arrivata durante la dominazione araba prima e con le spedizioni dei pescatori in Nordafrica poi. Il cous cous viene cotto a vapore nella tradizionale couscoussiera, una speciale pentola di terracotta che separa brodo dalla semola di grano duro. Si condisce con pesce, verdure, brodo caldo. Una specialità che accomuna popoli diversi, un prezioso sapore multietnico.
Di Alessandra Favaro