Un’area verde nel cuore della Campania ricca di sorprese e al di fuori delle rotte turistiche più battute. È il Parco Regionale del Taburno Camposauro, istituito nel 2002 per la tutela del Massiccio Taburno Camposauro, chiamato familiarmente anche la “Dormiente del Sannio” perché il suo profilo, se osservato dalla città di Benevento, ricorda quello di una donna distesa con i piedi verso la Valle Caudina e la testa (Monte Pentime) verso la Valle Telesina. L’area nel suo complesso occupa una superficie di quasi 13mila ettari e comprende 14 comuni ricchi di storia e tradizioni agricole della provincia di Benevento: Bonea, Bucciano, Cautano, Frasso Telesino, Moiano, Sant’Agata de’ Goti, Solopaca, Tocco Caudio, Vitulano, Melizzano, Montesarchio, Foglianise, Paupisi e Torrecuso. Un paesaggio vario e affascinante in cui borghi storici, casali, antichi eremi e santuari puntellano versanti appenninici incontaminati e campi votati alla produzione di olio, vino e frutta, testimonianza della presenza dell’uomo fin da tempi molto antichi.
“Il difficile racconto della storia della terra risiede nelle rocce e nel paesaggio che si osservano presso la sua superficie. Solo in questi siti, e solo lì, è possibile tracciare i processi che in migliaia di milioni di anni si sono succeduti e che hanno creato l’attuale aspetto del nostro pianeta”. Bastano queste parole della “Carta internazionale dei diritti della Memoria della Terra” dell’Unesco per capire quale importanza rivestano i geositi, veri e propri monumenti che raccontano e custodiscono la storia geologica di una determinata aerea. Nel Parco del Taburno Camposauro gli studiosi dell’Università del Sannio ne hanno censiti oltre quaranta di questi geositi: luoghi di interesse scientifico, che sono anche testimoni di prim’ordine della storia geologica di questo tratto degli Appennini così peculiare, un tempo sotto il livello del mare. Una ricchezza unica alla base della candidatura del parco a “Unesco Global Geopark”. Un riconoscimento che permetterebbe di tutelare ancora meglio questo patrimonio irripetibile e la sua comunità.
Scoprire il Parco Regionale del Taburno Camposauro non vuol dire solo imbattersi nelle sue verdi distese, ristorarsi all’ombra delle sue faggete, osservare con curiosità la fauna che lo abita. Qui si aspira a raccontare il connubio perfetto che si è creato nel tempo tra la montagna e i borghi che lo punteggiano. Uno dei più suggestivi è Sant’Agata de’ Goti, bandiera arancione del Touring Club. Erede di un castrum romano, il borgo è stato edificato su un maestoso sperone tufaceo a strapiombo sulla valle dell’Isclero, con pareti verticali alte fino a cinquanta metri. Si tratta di rocce vulcaniche – Ignimbrite Campana per la precisione - prodotte 39mila anni fa dalle eruzioni dei Campi Flegrei arrivate fino a qui. Un altro borgo incantevole in cui vale la pena fare una sosta, è Montesarchio sull’antica via Appia. Sede del Museo Archeologico Nazionale del Sannio caudino, Montesarchio è anche chiamato il borgo di Ercole. Leggenda vuole che proprio qui, in una grotta del Monte Taburno, l’eroe greco abbia portato a compimento una delle sue 12 fatiche.
Un enorme sperone di roccia calcarea, utilizzata anticamente come punto di avvistamento, che si erge maestoso sulla Vitulanese che da Campoli va a Montesarchio. È la Pietra di Tocco, una delle immagini più rappresentative del parco, insieme alle piane carsiche di Trelleca e Cepino. Sulla sua sommità restano le tracce di un castello di epoca angioina e, più in basso, quelle di una chiesa in rovina dedicata a San Michele, famosa anche per la pietra di epoca tardo romana raffigurante una testa di vitello alla base dello spigolo sinistro. Ma più ancora che per i segni lasciati dall’uomo, questa roccia è interessante dal punto di vista scientifico: gli studiosi la ritengono uno dei testimoni più significativi della formazione e dell’assetto geologico dell’area, un tempo sotto il livello del mare. Un passato sommerso documentato dai numerosi fossili di conchiglie, pesci e alghe conservati in tanti substrati rocciosi del parco e che raccontano della particolare formazione degli Appennini, nati venti milioni di anni fa dalla collisione della placca africana con quella euroasiatica.
C’è un filo rosso che unisce i borghi di Cautano e Vitulano alla reggia di Caserta e porta fino a Roma e in Russia. Di questa storia è protagonista il famoso architetto Luigi Vanvitelli, che nel Settecento utilizzò il marmo della zona - quello che fin dall’antichità si estraeva dalle Cave di Uria alle falde del Monte Camposauro - per abbellire la scala d’onore della reggia dei Borbone e successivamente per molti altri lavori. Un marmo riccamente venato, con cromie che vanno dal grigio al rosso, che è chiamato appunto Rosso Uria o marmo di Vitulano, che grazie al Vanvitelli si diffuse rapidamente in palazzi e chiese di tutta la Campania, arrivando fino a Roma. Dal XIX secolo, questa pietra ricercata per la straordinaria policromia fu utilizzata negli edifici più prestigiosi di Francia, Nord America, Australia e anche in Russia, dove andò a rivestire le guglie del Cremlino. Oggi l’attività estrattiva di queste cave non è più attiva, ma il sito rimane comunque raggiungibile con un percorso a piedi di circa un’ora seguendo le indicazioni da Vitulano.
Nei pressi del borgo di Solopaca, un serbatoio idrico è diventato opera d’arte, un’installazione capace di emozionare i visitatori attraverso inaspettati effetti visivi e sonori. È l’Acquedotto Alto Calore, che fornisce acqua a diversi comuni della provincia di Benevento. Il sito si trova sul versante sud-occidentale del Monte Pizzuto, a circa seicento metri di quota, in un’area dove al calare del sole il fascino della luna e delle stelle regna sovrano. L’artista campano Mimmo Paladino ha trasformato questo luogo in un’opera unica al mondo, che fonde tecnologia ingegneristica e paesaggio, funzione pubblica e natura. All’interno della montagna un gigantesco serbatoio collega quattro pozzi scavati per 250 metri all’interno del complesso calcareo, mentre all’esterno la fenditura artificiale della montagna è stata cicatrizzata con una parete di graniglia blu cobalto che la notte si illumina di magia. Un’installazione monumentale visibile anche a notevole distanza, perfettamente integrata con il paesaggio.
Nel cuore della Valle Caudina, alle pendici sud-occidentali del Massiccio del Taburno, si trovano gli antichi borghi di Bucciano e Moiano, che custodiscono due preziosi tesori di interesse non solo geomorfologico, ma anche storico architettonico: la grotta di San Simeone e quella di San Mauro. La grotta di San Simeone, la più importante del Taburno, è raggiungibile percorrendo un ripido ma suggestivo sentiero che parte da Bucciano. Al suo interno si possono ammirare alcune stalattiti e un meraviglioso affresco in buono stato di conservazione del Seicento, raffigurante proprio il santo in abiti vescovili. La grotta di San Mauro è situata invece all’altezza del santuario del Taburno, nei pressi del borgo di Moiano. Si tratta di una chiesa rupestre consacrata a San Mauro, da sempre meta di pellegrinaggi. Al centro della cavità, è possibile scorgere un raccoglitore naturale di acqua piovana con accanto i resti di un altarino. Più in là, un antico affresco raffigurante la Vergine e, in altro a destra, il busto di Santo Menna, un eremita dei monti del Sannio del VI secolo d.C.
di Amina D’Addario