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e-borghi travel 35, Speciale borghi e barche: Oltreconfine: Paese che vai… barca che trovi

Si fa presto a dire semplicemente “barca”! In realtà, stupisce quasi scoprire che in moltissimi Paesi del mondo le imbarcazioni, in particolare quelle di piccole dimensioni, sono ancora saldamente legate alle tradizioni locali – spesso antiche di secoli – che ne decretano non solo la foggia e la struttura, dando vita a innumerevoli modelli differenti, ma anche e soprattutto i colori e le decorazioni degli scafi, ammantati di credenze popolari e superstizioni, come solo il mare e i corsi d’acqua più in generale – per loro natura imprevedibili e quindi non scevri da pericoli – sanno ispirare. Che siano barche da pesca o da diporto, piccoli mercantili o soltanto “mezzi di trasporto”, che si muovano grazie al vento che gonfia le vele, a snelli motori fuoribordo o alla forza umana che voga con remi e pagaie, la cultura nautica tradizionale di ogni popolo regala leggende e storie degne di essere raccontate. Imbarchiamoci dunque – rigorosamente su imbarcazioni autoctone – e salpiamo alla volta di tre destinazioni di innegabile bellezza, per scoprirle… a filo d’acqua!

Marsaxlokk e i coloratissimi luzzi

Parlando di barche, non si poteva che iniziare il nostro itinerario da un’isola, meglio ancora se incastonata nel cuore del Mediterraneo, Malta. Crocevia di popoli, di lingue e di tradizioni, chiunque sia stato a Malta avrà sicuramente notato, tra le prime cose, il coloratissimo luzzu, la caratteristica imbarcazione da pesca il cui scafo è un trionfo di tonalità accese, dal giallo al rosso, dal verde al blu, sulle quali campeggiano due grandi occhi, solitamente a prua. Benché l’origine delle barche maltesi risalga ai greci o addirittura ai fenici, i loro occhi vengono misteriosamente legati a due divinità egizie, Osiride e Horus. Se è vero che è facile avvistare i luzzi lungo tutte le coste maltesi – oltre che sul dorso delle monete locali, le lire – è anche vero che passeggiando sul pittoresco porticciolo di Marsaxlokk, villaggio di pescatori il cui nome significa “porto dello Scirocco”, se ne incontrerà un numero davvero importante, ancorate nella piccola baia antistante il raccolto centro storico, tra i più autentici e scenografici dell’isola, dominato dall’imponente chiesa di Nostra Signora di Pompei. Un paio di curiosità: la baia di Marsaxlokk con i luzzi è una delle “cartoline” classiche dell’isola ed è qui che Gorbaciov e Bush hanno concluso ufficialmente la Guerra Fredda.

Nella terra dei faraoni… in feluca

Spostandoci sulle coste africane del Mediterraneo, e precisamente sulle sponde egiziane del Nilo, sono le vele latine delle feluche, con i loro alberi inclinati, a rendere suggestivo lo scorrere lento del grande fiume. Se queste imbarcazioni non vengono praticamente più usate per la pesca – il loro nome deriva dal greco epholkion, che significa scialuppa, forse in riferimento alle loro dimensioni piuttosto ridotte – vale assolutamente la pena salirvici nella bellissima Assuan per un’escursione lungo il fiume e ammirare le piccole isole punteggiate di villaggi nubiani, dove le case sono costruite in mattoni di fango – come quelli della misteriosa Isola Elefantina, il cui nome richiama la forma delle sue rocce granitiche, che sembrano tanti pachidermi sdraiati – via via fino ad arrivare ai maestosi templi di Philae, un tempo troneggianti sull’isola omonima ma poi smontati e trasportati sull’Isola di Agilkia nel 1977, per preservarli dalle inondazioni del Nilo che, dopo la costruzione della diga di Assuan all’inizio del secolo scorso, li costringeva sotto l’acqua limacciosa per diversi mesi l’anno.

Tahiti a bordo di una canoa polinesiana

Ed eccoci dall’altra parte del mondo, nell’Oceano Pacifico, ancora su un’isola, anzi, su una manciata di isole che, nell’immaginario collettivo, rappresentano il paradiso terrestre: la Polinesia, con il suo mare turchese e cristallino e la vegetazione esuberante. Arrivando a Tahiti, colpisce il contrasto tra la tranquillità dell’isola e il caos colorato della capitale, Papeete, che merita tuttavia una visita per il variopinto mercato (e per il museo dedicato a Paul Gauguin). Se oggi, per spostarsi da un’isola all’altra si può scegliere tra piccoli velivoli e imbarcazioni varie, non è raro vedere i Maori ancora a bordo delle sottili “va’a”, le famose canoe polinesiane con il bilanciere laterale che i guerrieri usavano un tempo per colonizzare le varie isole e per spostarsi tra di esse. Erano talmente importanti da essere considerate parte integrante della famiglia e ancora oggi ci sono riti ben precisi che le riguardano: per esempio, una “va’a” non si trascina mai sulla sabbia, ma la si porta a braccia, per rispetto, mentre la sua prua deve essere sempre rivolta verso il mare.

Di Simona PK Daviddi

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