Case di pietra appoggiate su acque incredibilmente limpide, canali attraversati da romantici ponticelli di legno, antichi lanifici diventati musei della tradizione e le rovine di un castello nato per dominare la valle del fiume Menotre. Rasiglia è un piccolo borgo a pochi chilometri da Foligno sopravvissuto allo scorrere del tempo e che, grazie al passaparola del web, è diventato negli ultimi anni una delle destinazioni più apprezzate dell’Umbria. Con la bella stagione sono migliaia i turisti che risalgono fino ai suoi 650 metri di altitudine per scoprirne gli scorci mozzafiato e perdersi nel dedalo delle vie accompagnati dal placido scorrere dell’acqua. A renderlo unico è infatti l’intreccio di ruscelli e canaletti su cui si affacciano gli edifici di pietra che un tempo furono mulini, lanifici, tintorie per la lavorazione delle stoffe pregiate, ma anche botteghe e attività artigianali. Attività fiorite fin dal Medioevo grazie all’abbondanza d’acqua, ma anche per la vicinanza all’antica Via della Spina, importante per gli scambi commerciali tra Roma e la Marca Anconetana.
La storia di Rasiglia è sempre stata scritta dall’acqua. A cominciare dal nome che alcuni fanno risalire alle parole paleoumbre “rasa” e “ilia” che significano “impetuose sorgenti”. Quelle stesse acque limpidissime che qui a Rasiglia fendono le rocce e dalla sorgente di Capovena situata nella parte alta del borgo si diramano verso valle insinuandosi tra gli edifici medievali e aprendosi in suggestive vasche. Un luogo fiabesco in cui oltre mille anni fa l’uomo decise di insediarsi e fare dell’acqua il suo mestiere. Già durante la signoria dei Trinci, la famiglia che a lungo dominò il territorio folignate, cominciò a fiorire una ricca attività mercantile legata alla lavorazione di lane e pellami. Nacquero così le concerie, le gualchiere, le filande e le tintorie tipiche di Rasiglia e che fino al secondo dopoguerra, con le dovute migliorie, sono rimaste attive. Edifici di un passato protoindustriale che ancora oggi è possibile visitare, toccando con mano tutti gli antichi macchinari della filiera tessile conservati intatti grazie alla sensibilità degli abitanti del borgo.
La prima tappa del nostro viaggio alla scoperta di Rasiglia comincia dalla Peschiera al centro del borgo: un’enorme vasca di raccolta dell’acqua che un tempo veniva utilizzata per il lavaggio delle pecore prima della tosatura e oggi punto di ritrovo dei rasigliani, nonché angolo prediletto dai turisti per scattare foto. Ma le bellezze di questo borgo della provincia di Perugia non finiscono qui. C’è il vecchio mulino a pietra oggi aperto al pubblico con l’antica bottega e la macina originale visibile al centro, i lanifici dove sono conservati le cardatrici e i telai storici e poi, ai piedi della sorgente, la piccola centrale idroelettrica costruita prima del secondo conflitto mondiale e oggi ristrutturata. Poco fuori l’abitato vale invece la pena di arrivare alla rocca di Rasiglia costruita nel XIV secolo dai Trinci. Del superbo castello sopravvivono però solo i resti del torrione principale e un tratto della cinta muraria, anche questi recentemente restaurati.
Rasiglia offre occasioni di visita tutto l’anno. Sotto le feste natalizie gli abitanti si attivano per allestire il “Presepe vivente” con la Natività e la rievocazione dei vari mestieri praticati nel suo periodo più fiorente. A giugno, invece, prende vita “Penelope a Rasiglia”, con il suo calendario di eventi in cui rivivono alcune attività tipiche del passato come la tintura della lana o il laboratorio di tessitura antica. Ma Rasiglia non è solo cascate e lanifici. Al di sopra del lavatoio, raggiungibile percorrendo una stradina bianca costeggiata da siepi di bossi, si nasconde il santuario della Madonna delle Grazie. Le origini di questo affascinante luogo di fede sono molto antiche, forse addirittura risalenti all’epoca precristiana. Il racconto popolare vuole tuttavia che a erigerlo nel 1450 furono gli abitanti di Rasiglia sul greto del fosso di Terminara, nel punto dove un pescatore aveva rinvenuto un gruppo scultoreo in terracotta raffigurante la Madonna con il Bambino che, nonostante lo spostamento in altre diocesi, era sempre tornato miracolosamente al luogo d’origine.
Di Amina D’Addario