Sambuca di Sicilia è un borgo della provincia di Agrigento adagiato nella Valle del Belice e circondato da boschi e colline che con i loro colori dipingono il paesaggio circostante. Tante le curiosità che ruotano intorno a questo luogo e che ne esaltano il fascino, già il nome stesso racchiude in sé un piccolo mistero. Sebbene l’origine di questo villaggio sia sovente ricondotta a un emiro e dunque a una cultura di matrice araba, si affiancano altre ipotesi. La più nota è appunto quella che riconduce la parola Sambuca ad Al Zabut, il leggendario principe che lì costruì il castello, altre ricostruzioni, invece, conducono a vie diverse. Sambuca potrebbe infatti derivare da “Sambyke”, parola greca riferita a uno strumento musicale simile all’arpa, forma che evoca la pianta del centro storico e che si ritrova sullo stemma comunale o – più banalmente – nella pianta di sambuco, diffusa nell’antichità nei dintorni e considerata addirittura magica, capace di proteggere da streghe e demoni.
Ciò che sappiamo per certo è che l’odierna Sambuca venne fondata dagli Arabi intorno all’830 e che l’impronta di questa dominazione rimane ancora visibile nell’urbanistica del suo centro storico e in particolare nei sette vicoli saraceni noti come “li setti vaneddi”. E se il cuore di Sambuca profuma d’oriente, totalmente diverse sono le architetture fuori le mura: colpiscono lo stile secentesco di palazzo Panitteri, oggi sede del Museo Archeologico che custodisce i reperti dell’insediamento greco-punico di Monte Adranone, le chiese barocche e i palazzi dell’Ottocento. Che mélange! Inoltre, spostandosi nella cosiddetta zona dei Mulini a ridosso del Lago Arancio, si può ammirare la fortezza di Mazzallakkar, probabilmente un avamposto sorto per difendere il territorio attorno al castello di Zabut. Ma attenzione perché questa scompare ogni volta che si innalza il livello del lago rimanendo sommersa per almeno sei mesi all’anno. Si tratta di un’opera unica in Sicilia dal grande valore storico che l’acqua, purtroppo, sta lentamente distruggendo.
I visitatori in cerca di curiosità possono continuare a esplorare il quartiere arabo, divenuto un Museo di storia arabo-sicula a cielo aperto. Passeggiando tra le viuzze, tortuose, cieche e a volte coperchi di cave sotterranee, s’incontra la famosa Via Fantasma. Un toponimo da brividi scelto, alla fine del XIX secolo, a causa di insolite apparizioni connesse alla Guerra Santa combattuta da Federico II contro i Saraceni. Si racconta che i cristiani, pentiti dello sterminio, erano soliti vedere un saraceno ululante nelle notti di luna piena e che per benedire l’area vi costruirono nel corso del Cinquecento la chiesa del Rosario, attualmente esistente. Sulla parete adiacente alla scaletta in cui si palesava il fantasma era stato perfino realizzato un murales ante litteram, la Madonna della Scala, ormai scomparsa. Ma gli appassionati del paranormale possono comunque approcciarsi alla scala delle apparizioni, un’attrazione turistica che seduce e spaventa allo stesso tempo. Chi ha il coraggio di calpestarne i gradini?
Chi visita Sambuca non può fare a meno di assaggiare la specialità dolciaria locale, ossia le “minni di virgini” (seni di vergine). Si narra che l’ideatrice di questa ricetta fosse una suora del Collegio di Maria, incaricata nel 1725 di preparare un dolce per il matrimonio di Don Pietro Boccadelli. La monaca, ispirata dal panorama collinare, modellò l’impasto farcendolo con crema di latte, cioccolato e zuccata rifinendolo poi con una copertura di glassa. Ad andarne ghiotto anche un personaggio letterario illustre, il principe di Salina protagonista de “Il Gattopardo” che, poeticamente, le descriveva come «Sviolinature in maggiore delle amarene candite, timbri aciduli degli ananas gialli e trionfi della gola, col verde opaco dei loro pistacchi macinati». Ultima chicca da mettere in valigia riguarda i festeggiamenti per la Madonna dell’Udienza, patrona di Sambuca, celebrata la terza domenica di maggio. Dieci giorni che culminano con una processione notturna del simulacro di Maria, illuminata dai riflessi di mille bocce in vetro soffiato provenienti da Hebron.+
Di Gaia Guarino