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e-borghi travel 28, Speciale i borghi della bellezza: La leggenda della cascata delle Marmore

Siamo di fronte a uno di quei paesaggi che esprimono, in natura, una bellezza spumeggiante. Un panorama che lascia il visitatore con il fiato sospeso. Poeti, pittori, filosofi e artisti ne sono rimasti ammaliati, ne hanno scritto, ne hanno parlato, ne hanno lasciato segno per i posteri e ancora oggi una visita alla cascata delle Marmore regala un ricordo che poi porteremo con noi, che racconteremo, che divulgheremo. Ma la cascata delle Marmore, fra le più alte d’Europa con i suoi 165 metri di altezza, non è in realtà una formazione naturale, bensì un’opera voluta dall’uomo. Ci sono voluti oltre duemila anni di interventi (dal 271 a.C. al 1787 d.C.) al corso del Velino e alla cascata stessa per diventare la meraviglia che si staglia oggigiorno davanti ai nostri occhi. E come tutte le meraviglie, anche la cascata delle Marmore vuole che la sua origine sia invece dovuta a un avvenimento leggendario. Un amore impossibile che ci è stato raccontato da Gnefro, il folletto simpatico ma dispettoso che vive tra i boschi, proprio nei pressi della cascata.

Gli sguardi s’incrociarono

Era un giorno di una calda estate quando un pastorello, Velino, stava portando le sue greggi al pascolo sulla rupe delle Marmore. Dalla cima si poteva dominare tutta la valle sottostante, una distesa di lussureggiante boscaglia interrotta solo da un bellissimo stagno posto esattamente sotto la rupe. All’improvviso, l’attenzione di Velino venne turbata dalla presenza di un piccolo gruppo di fanciulle che si stavano rinfrescando nelle acque del piccolo stagno. Incuriosito, il pastorello scese il costone e si avvicinò nascostamente tra la vegetazione per osservare quelle ineguagliabili bellezze. Tra di loro ce n’era una, che sembrava essere riverita dalle altre, di uno splendore folgorante. A un suo cenno, le altre fanciulle le si posero attorno in segno di scudo per proteggere il suo corpo spettacolare da occhi indiscreti mentre passavano dall’acqua alla spiaggetta. Il gruppo, mentre il sole le asciugava, era continuamente sotto lo sguardo sbigottito di Velino, silenzioso e immobile come una roccia. Quella figura dalla bellezza ammaliante, però, aveva notato la sua presenza, e, incuriosita, disse alle sue compagne di star tranquille dov’erano, mentre lei faceva una breve passeggiata nel bosco.

Quell’irresistibile amore impossibile

Come attratti da un’irresistibile spinta, i due si trovarono faccia a faccia e… Ecco il fatidico colpo di fulmine. Lei si presentò come Nera, figlia del dio Appennino nonché una delle ninfe devote a Giunone. Nonostante il loro amore fosse impossibilitato dalle regole del regno della magia – secondo il quale non poteva nascere un sentimento tra un mortale e una ninfa -, i due iniziarono a incontrarsi e ad amarsi in segreto per un lungo periodo. Il loro era un sentimento dolce, puro, idilliaco. Più si incontravano e più volevano incontrarsi. Le regole del mondo della magia non interessavano ai due amanti sotto la rupe delle Marmore ma un amore così potente, seppur tenuto segreto da mille sotterfugi, non poteva di certo passare in incognito per sempre.

L’ira di Giunone

Mentre Nera e Velino continuavano a vedersi di nascosto, c’era, nel regno della magia, chi aveva sentito vociferare di tale amore e fu a un banchetto sul Monte Olimpo che una delle ancelle di Nera si vide costretta a confessare alla dea Giunone tutto ciò che sapeva. Iraconda per tale affronto verso la tradizione, la dea chiamo subito a sé il dio Appennino, padre di Nera, e pretese di far rinsavire la figlia altrimenti la ninfa avrebbe dovuto affrontare un’esemplare punizione. Indignato per il comportamento di Nera, anche se addolorato in quanto padre, Appennino si vide costretto a discutere con la figlia, la quale non volle sentir ragioni. Il suo amore per Velino era troppo grande e ciò che chiedeva la dea, secondo lei, era ingiusto. Il buon Appennino le provò tutte per far capire alla figlia che quello era un amore impossibile e profanatore, cercando invano di descrivere quello che l’ira di Giunone sarebbe stata capace di fare ma Nera rimase ferma sulle sue convinzioni.

Un fiume di lacrime

Un giorno, mentre Nera stava andando a incontrare il suo amato Velino, alcune ancelle l’imprigionarono e, per ordine di Giunone, la portarono sulla cima del Monte Vettore. Su quella cima, Nera venne trasformata in un corso d’acqua e con immenso dolore pianse un vero e proprio fiume di lacrime che versò con impeto dalla rupe delle Marmore nella valle, allagando di rabbia il piccolo stagno sottostante e i lussureggianti boschi circostanti. Arrivato sul luogo dell’appuntamento, Velino aspettò per un lungo periodo la sua amata ma questa non si presentò. Passarono diversi giorni ma il disperato Velino non riusciva ad avere notizie di Nera o a trovare una spiegazione per tale abbandono. Devastato dal dolore, il pastorello intraprese un lungo cammino per raggiungere la mitica Sibilla - nei monti più a est - e invocare il suo aiuto.

Impossibile dividere ciò che non può essere diviso

Arrivato a stento dalla profetica figura, il povero Velino implorò la maga di dargli una spiegazione sull’improvvisa sparizione della sua amata Nera. Dopo aver scrutato le stelle e aver fatto appello alle sue doti magiche, Sibilla raccontò al pastorello della tragica punizione voluta da Giunone che voleva Nera trasformata in fiume, un fiume impetuoso e sofferente per l’impossibilità di stare al fianco della persona amata, ma profetizzò anche che c’era una soluzione per poter vivere per sempre uniti. Dopo aver preso commiato dalla saggia Sibilla, addolorato e confuso, Velino tornò nelle sue terre. Seppur il racconto della punizione divina fosse fin troppo chiaro, la profezia non gli era chiara per nulla, e gli creava parecchio sgomento. Fu durante una notte di luna piena che Velino, arrivando sulla cima della rupe delle Marmore e guardando in basso - proprio come aveva fatto il primo giorno che aveva visto la sua Nera -, invece del piccolo stagno scorse un fiume impetuoso che trasmetteva “sentimenti” di tristezza e in quei “sentimenti” riconobbe lei. Quel fiume era la sua amata. Solo a quel punto capì le parole della Sibilla e, senza pensarci due volte, si gettò nel vuoto dalla cima della rupe per raggiungere Nera. In quel momento, l’onnipresente Giove - che stava seguendo tutta la faccenda rimanendone colpito -, proprio mentre Velino era a mezz’aria, trasformò il pastorello in una fragorosa cascata e dall’unione dei due corsi d’acqua, Velino dalla rupe e Nera nella valle, nacque quello che oggi conosciamo come la cascata delle Marmore, bellissimo simbolo di un amore magico e infinito.

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