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e-borghi travel 26, Speciale danze storiche e tradizionali: La leggenda: il ballo angelico

Dal nome si direbbe qualcosa di puro, di altamente artistico, vagamente poetico, qualcosa di sacro, che necessita di un’assidua pratica per eseguirne correttamente le mosse. Un ballo armonioso, bellissimo, da lasciare lo spettatore senza fiato mentre vi assiste, quasi mesmerizzato da quello che, sempre dal nome, fa immediatamente pensare alla purezza degli angeli, ma il legame è tutto lì, nel nome. Infatti, dopo essersi informati anche un poco sul ballo angelico e soprattutto su certe sue conseguenze, non possono che venire i brividi. Questo ballo era definito “angelico” perché si praticava nudi come natura ci ha fatto, senza pudore né vergogna, come degli angeli. Nati molto prima della chiesa, i balli angelici erano in auge in tempi pagani come riti di fertilità ma in seguito divennero molto più simili ai sabba e si praticavano non solo nudi ma anche in euforica ebbrezza a causa dei fiumi di vino che scorrevano, con uomini e donne impegnati in canti e risa e, il più delle volte, in avvolgenti situazioni erotiche.

La distruzione della rocca di Maiolo

Siamo in Emilia-Romagna, a breve distanza dal borgo di San Leo, in provincia di Rimini. In cima al colle si vedono i resti di quello che un tempo era una poderosa rocca, casa di nobili e centro nevralgico di un fiorente paesino montanaro e di contadini, Maiolo. La leggenda narra che durante – e molte - notti, nobili e contadini erano soliti ritrovarsi all’interno della rocca per abbandonarsi al ballo angelico. Si dice che, a un certo punto, durante la frenesia generale, tra corpi nudi, canti e risate, apparve un angelo che ammonì i presenti del peccato che stessero commettendo e predisse loro terribili conseguenze, ma i partecipanti a quel ballo continuarono noncuranti i loro osceni festeggiamenti. Ma si dice anche che fu una civetta ad affacciarsi per tre volte a una finestra lanciando profezie, ma la “festa” aveva raggiunto il suo culmine e quindi fu tutto inutile per gli abitanti di Maiolo, i quali si ritrovarono dalla festa al nefasto. Improvvisamente, un terribile diluvio si abbatté sul territorio con potere apocalittico, un fulmine distrusse gran parte della rocca e tutti gli abitanti, paesino incluso, vennero sopraffatti da una tremenda frana. Il diluvio durò diversi giorni ma, il giorno della frana, quello lo si ricorda ancora oggi. Era il 28 maggio del 1700.

Scandalo a Rimini

Lì per lì la causa della distruzione della rocca venne attribuita al terribile diluvio che causò la frana anche se realmente un fulmine colpì in pieno la polveriera della rocca, ma questo fatto avveniva ben 56 anni prima, nel 1644. La cosa strana è che la distruzione di Maiolo divenne leggenda anche grazie all’aiuto dei francesi e perché questo avvenga si è dovuto aspettare ben 99 anni dopo il tragico fatto. Ci spostiamo a Rimini, quando il 15 febbraio 1799, una ciurma di corsari francesi si unì a un gruppo di soldati della repubblica cisalpina in quello che oggi chiameremmo un flash-mob di ballo angelico proprio davanti alla chiesa di S. Nicolò mentre all’interno si celebrava una funzione religiosa. Davanti a una folla incredula, francesi e cisalpini (tutti maschi in questo caso) ballavano e bevevano nudi, entrando e uscendo dalla chiesa, frastornando la devozione dei fedeli e causando indicibile scandalo tra i presenti in piazza, non curandosi delle basse temperature. Per i cronisti del tempo era un fatto «Che non mai erasi veduto l’uguale» - Carlo Tonini. Del resto si sa, i francesi, che hanno inventato il “bacio alla francese”, sono dei libertini e, stando ad alcune testimonianze, al famoso ballo angelico di Maiolo vi erano anche dei mercenari francesi che ballavano nudi con alcune ragazze del paese. Ma questa è solo una delle tante storie che colorano i tragici avvenimenti di quel maggio del 1700 e c’è chi ha chiamato Maiolo “la piccola Sodoma feretrana”. Sta di fatto che quel 28 maggio si aprirono le cateratte del cielo e si scatenò l’inferno cancellando quello che al tempo era il paesino di Maiolo e che nei secoli è stato ricostruito interamente in valle.

Il ballo angelico non impazzava solo in Romagna

Lo stravagante rito, infatti, veniva praticato anche nel Casentino, in Maremma, in Garfagnana e Irpinia. Si narra di feste che seguivano i tornei al castello di Cotone, feste alle quali partecipavano nobili e abitanti del borgo. Con l’andare del tempo, queste feste divennero sempre più accese e continue. La loro atmosfera stava trasformandosi dall’allegro allo spasmodico. Quasi “angelico”, tanto da preoccupare il Vescovo, il quale si vide costretto a tenere un lungo e severo discorso agli abitanti del castello e del borgo nel tentativo di riportarli sulla retta via. Sebbene inizialmente questi si sentirono pentiti per il loro fare sempre più libertino e pur promettendo il loro ravvedimento, al calar del sole dello stesso giorno non solo cedettero alla tentazione delle loro feste orgiastiche, ma chiusero addirittura il Vescovo in una botte che fecero rotolare lungo la collina. Fortunatamente, il ponte di Istia fermò la corsa della botte verso il mare. Convintosi di essere stato salvato dal divino, il Vescovo tornò dagli abitanti di Cotone pronto a perdonarli laddove questi si fossero definitivamente ravveduti ma il tempo è tiranno e quella stessa notte un terremoto distrusse il castello del quale non sono rimaste che poche macerie. Coincidenza?

Molto più a nord, qualche centinaio di anni prima

La fama del ballo angelico e delle sue temibili conseguenze si erano già fatte spazio in Valtellina, nel piccolo borgo di Mantello, poco dopo l’inizio dell’anno Mille. Qui, la casata dei Pusterla aveva fatto costruire il loro maniero. Era bello, elegante e spiccava alto tra le baite e i rifugi circostanti. Era un tempo dove il tessuto sociale tra i poveri contadini, che vivevano con umiltà e in modestia e i ricchi nobili – dimentichi che il vero significato di nobiltà rappresenti un vivere dignitoso e morale -  si stava strappando. Infatti, i Pusterla erano soliti organizzare regolari festini dove cavalieri e nobildonne, anche da altri paesi lontani, trovavano una sfarzosa ospitalità, sontuosi banchetti e abili musici per allietare le loro serate. Fin qui nulla di strano se non fosse che proprio dopo cena, quando ormai il buio aveva ammantato il paesaggio e il vino faceva arrossare le guance, iniziarono delle danze, ma non delle danze normali… Quelle danze “lì”. Quelle danze dove i musici suonavano note suadenti. Quelle che per ballare i vestiti non servono. Quelle danze non consone a un comportamento prettamente “morale”. Quelle danze oscene da cui si invitava a starne alla larga. Ma i Pusterla e i loro ospiti non si curavano di certe cose. Questo loro atteggiamento iniziava a essere malvisto dal popolo, il quale cominciava a dubitare della rettitudine dei loro nobili. Ma le feste dei Pusterla continuavano. Sempre più suadenti. Sempre più lascive.

Dalle tenebre alla luce

Una sera d’estate al tramonto iniziò a piovere. I nobili stavano per sedersi al loro ennesimo banchetto e si preparavano a una nuova “indimenticabile” notte. Un forte fulmine squarciò il cielo e nella sala si fece il silenzio. I presenti si guardarono con attonita paura. Poi un sorriso. Poi una risata. Ripartì la musica e l’atmosfera tornò gaudente. Iniziò la grandine e i contadini corsero dal parroco per dare l’allarme ma, vuoi per la musica, vuoi per l’ebbrezza, i Pusterla non udirono i rintocchi allarmanti della campana e neanche si accorsero della tremenda piena del torrentello a valle che stava per abbattersi con la furia di una gigantesca cascata contro il loro allegro festino. Passarono diverse ore prima che l’alluvione terminò e quando, al mattino seguente, il cielo tornò sereno, i contadini che nella notte si erano rifugiati in case più sicure più a monte, si resero conto che le loro abitazioni non erano state toccate dalla furia delle acque. Solo il maniero dei Pusterla era stato raso al suolo, lasciando in piedi solo il muro orientale. Dopo quell’evento, il castello non fu mai più ricostruito e col tempo le rovine scomparvero ma la storia divenne leggenda… E il tempo passò. E arriviamo al 1909. Anno in cui la popolazione di Mantello festeggia la costruzione di una centralina elettrica che avrebbe portato la luce al piccolo borgo. Questa centralina fu costruita sulle sponde di quello stesso torrente che, ingigantitosi a causa della tempesta, portò tenebre e distruzione. Dalle tenebre alla luce?

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