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e-borghi travel 25, Speciale paesaggi 2021: La leggenda di Colapesce

La nostra passione per le leggende del Belpaese oggi ci porta a conoscere una tra le più sentite e amate del Mezzogiorno, soprattutto in Sicilia. Una leggenda antichissima (si dice quasi omerica) che parla prevalentemente dell’amore per il mare, per il suo paesaggio al di sotto della superficie, per tutte le straordinarie creature che lo popolano e, naturalmente, dell’amore per la Sicilia. La leggenda di un uomo che passava più tempo tra le acque che sulla terraferma e al quale hanno dedicato non solo un’antica canzone, ma le cui vicende sono state scelte per essere trascritte da Italo Calvino e che ultimamente sembrano essere state anche motivo d’ispirazione per il prossimo film animato della Disney Pixar, “Luca”. La devozione che i siciliani hanno sempre avuto per questo personaggio mitologico va oltre il semplice rispetto per il suo amore verso il mare e il suo sacrificio per la sua terra. D’altronde, come non essere devoti a colui che “ancora oggi” sorregge una delle tre colonne sulle quali si posa la Sicilia?

L’uomo e il mare

Siamo a Capo Peloro, poco distante da Messina, dove, stando alla leggenda, viveva una famiglia di pescatori il cui figlio passava più tempo a nuotare e a immergersi in mare che sulla terraferma. Si chiamava Nicola e aveva l’abilità straordinaria di poter stare sott’acqua per lunghi periodi. Tanto che a volte stava via da casa anche per giorni e al suo ritorno intratteneva tutti con i racconti dei fantastici paesaggi marittimi che aveva visitato e delle incredibili creature che aveva incontrato. In paese lo consideravano un po’ strambo e forse tutto registrato non era. Il suo amore per il mare e le sue creature lo spingevano anche a sottrarre il pescato al padre per ributtarlo in acqua e questo rendeva furibonda la madre che, si dice, lo maledisse augurandogli di trasformarsi in un pesce come quelli che lui amava tanto. Se si trasformò o meno non ci è dato saperlo, ma di sicuro sappiamo che per tutti quel ragazzo non era più Nicola. Era diventato Colapesce.

La sfida del re

La notizia della strabiliante abilità di Colapesce arrivò alle orecchie del re, che non è ben chiaro se fosse re Ruggero o Federico II di Svevia, il quale si fece così incuriosire da voler incontrare lo strabiliante nuotatore e mettere alla prova le sue capacità. Arrivato al piccolo borgo e fatte le presentazioni del giovane Colapesce, il re gli parlò della sua incredulità e del suo desiderio di ammirare dal vivo se quello che si diceva sul suo conto fosse vero. Colapesce non si tirò certo indietro e iniziò così la prova. Salito su una barca e seguito dal giovane a nuoto fino a un punto dove l’acqua del mare è notevolmente alta, il re mostrò una coppa d’oro e dopo averla gettata in acqua, invitò Colapesce ad andarla a recuperare. In un guizzo il ragazzo era già sparito tra le profondità e dopo qualche ora di attesa eccolo riemergere con il prezioso oggetto. Il re era visibilmente stupefatto ma ancora incredulo, tanto che decise di alzare la posta e dopo essersi tolto la corona la gettò in un punto dove l’acqua è ancora più profonda. Colapesce intuì le intenzioni del re e senza dire nulla si immerse alla ricerca dell’oggetto. Il tempo passava ma Colapesce non si vedeva. Solo dopo alcuni giorni il giovane riemerse con la corona in mano ma con una preoccupata tristezza in volto.

Sicilia in pericolo

Vista l’espressione del giovane, il re volle essere messo a conoscenza di ciò che egli aveva visto in fondo al mare. Fu così che Colapesce raccontò che per recuperare la corona aveva dovuto andare così a fondo da scoprire che la sua amata Sicilia si poggiava su tre grandi colonne: una in ottime condizioni, una appena scheggiata e l’ultima in gravi condizioni perché la lava dell’Etna la stava consumando quasi del tutto. Il re non volle credere a una parola di quel bizzarro racconto e, scagliando in un punto di mare molto insidioso l’anello della principessa, sfidò Colapesce a immergersi nuovamente se non voleva che tutti lo considerassero un codardo e pure bugiardo.

Il sacrificio di Colapesce

Colapesce, che all’inizio si rifiutò di compiere l’impresa, decise di immergersi portando un bastone di legno con sé. Il giovane disse al re che se il bastone fosse tornato a galla bruciato, avrebbe provato che aveva detto il vero, e sparì tra le acque. Passò diverso tempo e tra lo stupore generale ecco riemergere il pezzo di legno tutto bruciacchiato ma Colapesce non riemerse mai più. Il giovane decise di rimanere sott’acqua e sacrificarsi per il bene della sua terra. Ancora oggi egli è lì a sostenere la colonna danneggiata e se ogni tanto si sente la terra tremare tra Messina e Catania vuol dire che Colapesce, intorpidito, sta cambiando spalla.

La versione napoletana

Anche a Napoli si conosce un certo Colapesce maledetto dalla madre per le sue continue immersioni, il quale in questo caso sviluppò “realmente” squame come i pesci e si rifugiò in mare facendo perdere le sue tracce. Questa versione trae origini dall’antico culto dei figli di Nettuno, ovvero abilissimi sommozzatori dotati di poteri magici ottenuti accoppiandosi con esseri marini con l’aiuto della sirena Partenope. Che sia anche il Colapesce siculo una di queste strabilianti creature in grado di godere appieno dell’immenso paesaggio sottomarino?

La canzone della tradizione siciliana di Colapesce

La genti lu chiamava Colapisci

pirchì stava ‘nto mari comu ‘npisci

dunni vinia non lu sapia nissunu

fors’ era figghiu di lu Diu Nittunu.

‘Ngnornu a Cola u re fici chiamari

e Cola di lu mari curri e veni.

O Cola lu me regnu a scandagghiari

supra cchi pidamentu si susteni

Colapisci curri e và.

Vaiu e tornu maestà.

Cussì si jetta a mari Colapisci

e sutta l’unni subitu sparisci

ma dopu ‘npocu, chistà novità

a lu rignanti Colapisci dà.

Maestà li terri vostri

stannu supra a tri pilastri

e lu fattu assai trimennu,

unu già si stà rumpennu.

O destinu miu infelici

chi sventura mi predici.

Chianci u re, com’haiu a fari

sulu tu mi poi sarvari.

 Su passati tanti jorna

Colapisci non ritorna

e l’aspettunu a marina

lu rignanti e la rigina.

Poi si senti la sò vuci

di lu mari ‘nsuperfici.

Maestà! ccà sugnu, ccà

Maestà ccà sugnu ccà.

‘nta lu funnu di lu mari

ca non pozzu cchiù turnari

vui priati la Madonna

ca riggissi stà culonna

ca sinnò si spezzerà

e la Sicilia sparirà.

Su passati tanti anni

Colapisci è sempri ddà

Maestà! Maestà!

Colapisci è sempri ddà

La gente lo chiamava Colapesce

perché stava in mare come un pesce

da dove veniva non lo sapeva nessuno

forse era figlio del Dio Nettuno.

Un giorno a Cola il re fece chiamare

e Cola dal mare di corsa venne.

O Cola il mio regno devi scandagliare

sopra che fondamento si sostiene.

Colapesce corre e va

Vado e torno maestà.

Così si tuffa a mare Colapesce

e sotto le onde subito sparisce

ma dopo un poco, questa novità

al suo re Colapesce dà.

Maestà le terre vostre

stanno sopra a tre pilastri

e il fatto assai tremendo,

uno già si sta rompendo.

O destino mio infelice

che sventura mi predici.

Piange il re, come debbo fare

solo tu mi puoi salvare.

Sono passati tanti giorni

Colapesce non ritorna

e l’aspettano alla marina

il re e la regina.

Poi si sente la sua voce

dal mare in superficie.

Maestà! qua sono, qua

Maestà! qua sono, qua

nel fondo del mare

che non posso più tornare

voi pregate la Madonna

che possa reggere questa colonna

altrimenti si spezzerà

e la Sicilia sparirà

Sono passati tanti anni

Colapesce è sempre là

Maestà! Maestà!

Colapesce è sempre là

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