Scarpe comode, tanta curiosità e una buona dose di spirito d’avventura. Ecco il kit indispensabile per iniziare il nostro itinerario alla scoperta di Rieti. Siamo nell’alto Lazio, in quella città che gli autori di età classica definivano come Umbilicus Italiae, il cuore della Penisola. La storia di questo territorio sito alle pendici del Monte Terminillo e lambito dalle acque del Fiume Velino, si perde nel tempo. Dall’età del ferro per diventare dominio dei Sabini prima e dei Romani successivamente. La sottomisero i Barbari, Rieti, la prese lo Stato Pontificio e infine fu annessa al Regno d’Italia. Ad affascinare è l’origine del nome. In latino fu Reate, e secondo la leggenda pare che derivasse da Rea Silvia, la madre di Romolo e Remo, che avendo violato il suo voto di castità, venne punita e sepolta viva proprio qui dallo zio Amulio. Una seconda teoria è quella che legherebbe Reate alla dea greca Rea, moglie di Crono, e ancora, c’è chi ne trova la radice nel verbo greco reo, ossia scorrere, con riferimento alla ricchezza d’acqua della zona. Quello che è certo è che si tratta di un luogo tutto da scoprire e sarà Rita Fagiani, preparatissima guida turistica locale, ad accompagnarci nella nostra visita. È tempo di mettersi in cammino!
Rieti città dell’acqua. In aggiunta al già citato Fiume Velino, che a sua volta riceve i fiumi Turano e Salto, alla Cascata delle Marmore e a ciò che rimane dell’antico Lacus Velinus, poco fuori dal centro abitato, si trovano le Fonti di Cottorella, una sorgente d’acqua oligominerale già nota ai tempi dei Romani e definita addirittura virtuosa. Sgorga a caduta naturale dal Monte Belvedere e si presenta priva di contaminazioni, per tale ragione l’azienda Antiche Fonti di Cottorella Spa ne conserva la sua purezza fino all’imbottigliamento rendendola un prodotto ideale per gli sportivi ma anche per la preparazione degli alimenti dei lattanti. Questa impresa racconta la storia di tre generazioni legate a filo doppio con la Sabina. L’obiettivo? Promuovere le proprietà di un'acqua unica con una costante attenzione all’ambiente. Stessa filosofia orientata alla sostenibilità è quella abbracciata da un’altra eccellenza del reatino. La Torrefazione Faraglia è un’azienda famigliare nata nel 1968 dove l’innovazione è di casa. A guidare Sandro Faraglia, il titolare, è la volontà di essere al passo con i tempi e lo si evince dal suo stabilimento all’avanguardia, dotato di un impianto di tostatura ad aria pulita per la produzione di un caffè puro e autentico.
Dopo una prima intensa giornata a Rieti, è giunto il momento di concedersi un po’ di riposo. Scende la sera e ci avviamo al check-in presso il Grande Albergo Quattro Stagioni. A sorprendere gli ospiti è senza dubbio il palazzo novecentesco in cui sorge l’hotel, posto tra la piazza del Comune e quella della Prefettura, di fianco alla cattedrale romanica. Una volta entrati, ci si ritrova in un ampio salone o per meglio dire, nel giardino d’inverno. Si rimarrà incantati dal gioco di luci che si crea con i prismi colorati del soffitto in vetro, la location adatta a un ricevimento quasi fiabesco. La struttura conta 43 camere, alcune guardano sui giardini della prefettura e altre sulla piazza del Comune dove si scorge la celebre Fontana dei Delfini. Il comfort è garantito sia dall’utilizzo di avanzate tecnologie per un servizio smart sia dalla cortesia e dalla professionalità del personale al front desk, pronto a coccolare i clienti e a soddisfarne ogni esigenza. All’arrivo, il benvenuto è servito. Si potrà degustare un aperitivo in un contesto elegante e ricercato, mentre la colazione solleticherà ogni palato con prelibatezze dolci e salate. Soggiornare al Grande Albergo Quattro Stagioni significa respirare l’aria di casa… lontano da casa.
Dopo un sonno ristoratore, siamo pronti per continuare il nostro viaggio. Destinazione Terminillo, il paradiso per chi ama la montagna. La scalata inizia a circa trenta chilometri da Rieti, conosciuto in passato come Mons Tetricus, citato da Virgilio nell’Eneide, è uno dei simboli della Sabina. Gli appassionati della neve che abitano a Roma e dintorni ben conoscono la sua stazione sciistica tanto da avergli affibbiato il soprannome di montagna dei romani. Ma a rendere speciale quest’area è anche la biodiversità mescolata al paesaggio variegato: se il versante sud, quello più prossimo a Rieti, è maggiormente antropizzato e turistico, il versante settentrionale orientato verso Leonessa è invece selvaggio e aspro, disegnato da valli e rupi rocciose. L’intero massiccio comprende sei cime che superano quota duemila metri, e una serie di vette più basse. Oggi è una meta apprezzata da chi pratica escursionismo, basti pensare che l’arrampicata e l’alpinismo hanno una tradizione centenaria. Numerosi sono i sentieri da percorrere per raggiungere punti d’osservazione mozzafiato da cui ammirare perfino il Gran Sasso d’Italia o la più vicina piana di Rieti sulla quale spiccano il Lago Lungo e il Lago Ripasottile.
La fatica si fa sentire ma la vista dall’alto ripaga di tutto. Saliti sul Terminillo si scorge il Lago Lungo, conosciuto anche col nome di Lago di Cantalice con riferimento al comune omonimo. Dalla metà degli Anni ’80 questo specchio d’acqua fa parte della Riserva parziale naturale dei laghi Lungo e Ripasottile, un’area protetta al centro della conca di Rieti, abbracciata da canneti e lembi di bosco igrofilo, dove fare birdwatching in inverno e in occasione dei passi migratori. Le sue acque sono alimentate da diversi canali ma soprattutto dal Lago di Fogliano, defluiscono poi nel Lago di Ripasottile e infine nel Fiume Velino. E proprio a proposito del Lago di Ripasottile, ecco due curiosità: al suo interno si trovano le Isole di Mattella e dello Scoscione, inoltre, poiché la massima profondità è di sette metri, questo impedisce al lago di gelare completamente. Il Lago Lungo e il Lago di Ripasottile, insieme ai laghi di Piediluco e di Ventina, sono ciò che resta dell’antico e ormai pressoché prosciugato Lacus Velinus, le cui rive ospitarono i primi insediamenti già intorno al 3.500 a.C.. Furono gli antichi Romani a bonificare la piana Reatina creando un varco nelle montagne e dando vita alla Cascata delle Marmore.
Un’altra giornata volge al termine. Il tramonto si spegne lentamente lasciando il Terminillo sullo sfondo e i laghi Lungo e Ripasottile a portata di sguardo. Siamo al centro della Valla Santa e del Cammino di Francesco, luoghi che raccontano la storia di San Francesco d’Assisi, dove la Tenuta Due Laghi è pronta a donare ai suoi ospiti un soggiorno indimenticabile. Non distante da Rieti, abbandonare i ritmi cittadini e vivere piuttosto una parentesi di benessere è d’obbligo. La villa della Tenuta Due Laghi risale alla seconda metà dell’Ottocento, oggi restaurata, è riservata alla reception e al pernottamento in una delle sette camere matrimoniali di cui dispone. Il panorama bucolico e il calore dell’accoglienza rendono questa struttura impareggiabile. Ci si può rilassare in piscina o godere della frescura del portico, ogni orario regala un’emozione diversa e nonostante gli ampi spazi, si percepisce una sensazione di silenziosa intimità. Punta di diamante della tenuta è l’azienda agricola. Coltivare la terra è nel Dna e questo permette di portare in tavola tutte le eccellenze del territorio, il ristorante diventa così un cabaret di sapori genuini a base di prodotti certificati da agricoltura biologica.
Pronti per l’ultimo giorno di viaggio nella provincia di Rieti? Dopo aver respirato a pieni polmoni lo spirito fresco dei monti, ci addentriamo nei borghi. Il primo che andremo a visitare è Rivodutri, sulle falde occidentali del Terminillo. Indiscusso protagonista di questo comune è San Francesco d’Assisi. Si racconta, per esempio, che una volta il santo venne colto da un temporale improvviso mentre meditava sul Monte Fausola e che il faggio sotto al quale si riparò, avrebbe flesso i propri rami per proteggerlo. Quest’albero è tuttora ben visibile, maestoso e con un’insolita fisionomia, è menzionato tra i monumenti naturali del Lazio. Chi passa da Rivodutri non può dimenticarsi delle Sorgenti di Santa Susanna, una delle più grandi d’Europa, che nel periodo di Natale diventano la scenografia di un presepe subacqueo. Nel fiume omonimo, si pesca in particolare la trota che non a caso è un ingrediente portante dei piatti tipici. Prima di lasciare il borgo, serve però un tocco magico, quello della porta alchemica che si apriva sull’ormai scomparso Palazzo Camiciotti. Un arco secentesco decorato con sculture esoteriche di complessa interpretazione, tanto che si narra che soltanto colui che avrà la chiave adeguata potrà comprenderne l’ermetismo.
Ci addentriamo adesso in un borgo per il quale ci ritorna in mente uno dei più grandi cantautori italiani, Lucio Battisti. Siamo a Poggio Bustone, sua città natale, che lo ricorda con una statua in bronzo nel parco noto come Giardini di marzo. Ma questo paese custodisce anche un santuario fondato da San Francesco, la cui costruzione iniziò nel Duecento e che venne poi ampliato con il convento dedicato a San Giacomo nei secoli immediatamente successivi. L’architettura religiosa include la chiesa di San Giovanni Battista, dove al suo interno sono conservate le reliquie di San Felice martire le cui spoglie, secondo la leggenda, furono portate spontaneamente al castrum di Poggio Bustone da un carro trainato da buoi. Passando dal sacro ai peccati di gola, non si può tralasciare una vera specialità gastronomica, la porchetta. La tradizione vuole che l’inventore di tale bontà sia stato Moretto, un macellaio, che assistendo a un incendio scoppiato vicino a un cespuglio di erbe aromatiche nel quale andarono a fuoco diversi maiali, ebbe l’idea di sperimentare questa ricetta. L’itinerario nel reatino con la guida Rita Fagiani taglia il traguardo ed è tempo di dirsi arrivederci, con lo stupore negli occhi e il desiderio di ritornare nel cuore.