Aruspicini: dall’arte di esaminare le viscere degli animali (sacrificati) a gustosi panini. Gli Etruschi adoravano dei panini farciti con fegato di maiale, lingua e una salsa composta da prezzemolo, aglio, capperi e acciughe. Erano gli Aruspicini. Va notato che per gli Etruschi l’aruspicina era l’arte divinatoria che consisteva nell'esame delle viscere di animali sacrificati per trarne segni divini e norme di condotta. Per la serie “non si butta via nulla“.
È tutta calabrese la gassosa al caffè. Un mix bizzarro? Non per i calabresi, che non solo hanno inventato questa particolare bevanda a inizio del Novecento, ma che, ancora oggi, l’apprezzano, la producono e la esportano. Inventata da Vincenzo Ferrise di Nicastro, a Lamezia Terme, la gassosa al caffè, oggi in commercio nel meridione come Brasilena o Moka Drink, è un’ottima e frizzante sostituta del caffè freddo e uno degli ingredienti di due famosi cocktail: il Black Jelly Bean e il Nero Italiano.
La Gubana friulana sfida la Pastiera napoletana… E perde. È successo lo scorso marzo, durante il 15esimo concorso “Gubana Day – Premio Bepi Tosolini”, quando gli organizzatori hanno scelto la Pastiera Napoletana quale sfidante del famoso dolce friulano. Sette Pastiere contro sette Gubane. Oltre duecento assaggiatori giunti a Cividale del Friuli, divisi in una giuria popolare e una tecnica e, per entrambe le giurie, la vincitrice è stata la Pastiera.
Anche delle castagne non si butta via niente. Infatti, le bucce possono essere usate in un decotto per ridare lucentezza ai capelli, risciacquandoli con l’acqua di cottura, mentre i ricci delle castagne, uniti alle bucce, possono essere usati in laboratorio per produrre creme cosmetiche per la pelle.
Tutti sbagliano chiamandola Fregola. La famosa pasta sarda, che vede le sue origini risalire a tempi antichissimi, si chiama in realtà Fregula, termine di derivazione latina (ferculum) che potrebbe tradursi in “Briciola”.
L’Ammazzafegato toscano, la Zuppa di poveracce emiliana, il Figo moro da Caneva e altri prodotti italiani, per la maggior parte dai nomi meno particolari di questi, hanno ottenuto il riconoscimento Pat (Prodotti Agroalimentari Tradizionali Italiani), ovvero quei prodotti tipici locali e tradizionali che ereditano dal luogo e dalla cultura dove nascono caratteristiche particolari che li rendono unici e legati al luogo di produzione. I Pat sono circa 4mila e rappresentano l’Italia dei piccoli borghi e dei produttori.