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Dopo un mese, che San Bartolo e San Giacomo sono stati assieme alla Matrice devono separarsi e tornare ciascuno a casa propria, alle due estremità del centro storico di Geraci Siculo. I due fercoli in processione dalla Piazza salgono al Castello, e stavolta San Martulu va lassa a San Japicu. Arrivati nello spiazzale antistante la chiesa di San Giacomo, le due statue una di fronte all'altra, attesa la fine della maschiata (sparo dei mortaretti), si salutano con il caratteristico dondolamento frutto del piegarsi e innalzarsi che fanno i portatori sulle ginocchia.
È un saluto di commiato, e il gesto provoca attimi di commozione, al pensiero che questa è l'ultima festa dell'anno e si avverte l'arrivo del rigido inverno. Entrato il Protettore San Giacomo nella sua casa, al suono della banda musicale, la processione riprende il cammino, a jri a pinnina. Destinazione San Bartolo. Anche qui, prima che il Santo entri nella sua chiesa, al suono della banda musicale, c'è un sonorosissimo sparo di mascuna accompagnato da qualche lancio di stelle di iuocu fuocu. È così che la comunità ringrazia il suo santo Patrono per il raccolto estivo, che a Geraci era costituito non solo dal frumento ma anche dalla manna, e dall'insieme di frutti da conservare per l'inverno come companatico.
L'uomo – scrive a tale proposito don Isidoro Giaconia – svolgeva l'intaccatura sui trinchi di amollei e di frassini con l'apposito coltello dalla lama larga ben affilata, chiamata cutieddu di manna. Quando i tronchi intaccati giornalmente si impregnavano di bianca manna, si procedeva alla raccolta con l'apposita paletta chiamata ruosula e con il caratteristico contenitore di sottile legno chiamato cugghituru. Anche le donne si prestavano a questa raccolta, specialmente quando c'era il pericolo di qualche nebbiata o addirittura di qualche pioggia: la raccolta della manna esigeva un clima caldo e secco. La manna veniva stesa al sole su ampie scorze di sughero e poi in appositi sacchi si trasportava in paese in attesa di essere venduta.
Contemporaneamente a questi lavori di ntaccatura, mentre gli uomini si sguinzagliavano tra frassini e amollei, le donne in quelle casette rustiche preparavano riserve a base di frutta per l'invernata: i caratteristici spiti di fichi inzuccherati al sole, le sorbe infilate a forma di grandi rosarii, i pizzichindì confezionati con vino cotto e farina o con altri ingredienti di frutta varia, specialmente di fichidindia. Si raccoglievano le mandorle, le mele, le pere d'inverno, ecc. La frutta allora era un ottimo companatico non solo per i contadini, ma anche per tanta altra gente: companatico sano, sostanzioso e genuino. Era pure il periodo in cui il contadino trovava il tempo per confezionare caratteristici contenitori di vimini: ceste, panieri, canestri e panchette di ferula chiamate firrizzi.