Rieccoci con qualche notizia su borghi e scrittori. Questa volta l'appuntamento coinvolge un letterato davvero immenso nel panorama italiano novecentesco: Cesare Pavese, classe 1908, il celebre autore di "Lavorare stanca" e "Il mestiere di vivere".
Ed ecco due borghi tra Nord e Sud. Due curiosità e due luoghi espressamente citati nella sua produzione letteraria. Zone diverse del Paese perché piemontese della terra delle Langhe era il nostro scrittore, ma poi conobbe il Sud anche nella triste occasione del confino fascista nei primi anni '30. Così Pavese soggiornò a Brancaleone, estremo Sud Italia, provincia di Reggio Calabria.
LANGHE, TERRA DELLA NASCITA
Foto da Cuneodice.it
Santo Stefano Belbo, nella terra di Cuneo, è il paese di provenienza di Pavese. Qui la sua casa natale, dove poi la famiglia sempre si recò anche successivamente per le vacanze estive.
"La luna e i falò" è uno dei suoi libri in cui il paese torna tra le pagine. Ma il borgo è citato anche nelle meravigliose poesie di “Lavorare stanca”. Suggestiva la famosa stazioncina del piccolo centro, così come l'albergo dell'Angelo, esistente davvero prima della guerra.
Pavese riposa nel cimitero di Santo Stefano, paese di 4000 abitanti, famoso per il vino, nato sulle rive del Belbo, affluente del Tanaro.
Terra rimpianta dallo scrittore dopo il trasferimento coi suoi in città.
Nella casa natale ha luogo il Centro Pavesiano: a sua cura mostre e diversi premi. Roccia arenaria, 175 metri sul livello del mare, ci sono zone con picchi di 500 e più metri di altitudine, specie ai lati del fiume nell’area a nord. Proprio ai piedi di una collina, un vero tesoro: l’abbazia romanica di San Gaudenzio, benedettina (un ordine importante qui, anche per la coltivazione della vite).
Da citare anche il santuario della Madonna della Neve.
Storia precisa come centro relativamente giovane (XI secolo), ha avuto in zona anche i cistercensi, nella chiesa di San Maurizio.
Santo Stefano Belbo, dunque, centro semplice, rustico, dal sapore antico: quello che fu caro al poeta.
BRANCALEONE, LA CALABRIA DEL CONFINO
Foto da Giornale di Calabria
Il paese reggino fu il confino di Pavese: sette mesi, da agosto 1935 a marzo 1936. Siamo sulla sponda ionica. Un rapporto ad alti e bassi, quello tra l'autore e i paesani. Certo, Pavese difese apertamente l'onore dei calabresi, mettendo a tacere alla radice ogni supposta leggenda circa, addirittura, la “sporcizia” di questa gente.
Ecco le sue dirette parole: "Sono cotti dal sole. Le donne si pettinano in strada, ma viceversa tutti fanno il bagno. Ci sono molti maiali, e le anfore si portano in bilico sulla testa". Ancora: "Brancaleone, in fondo, ha l’aspetto di Santo Stefano Belbo e i ragazzi e gli uomini mi ricordano il tempo dell’infanzia”. Bellissimo. I borghi si somigliano.
E poi: “Qui ho trovato una grande accoglienza. Brave persone, abituate al peggio, cercano in tutti i modi di tenermi buono e caro”.
Traiamo queste parole dall'opera “Il quaderno del confino”.
Ma anche il romanzo “Il carcere” ne parla. Parole che ricordano quelle di CarloLevi, l'artista e scrittore, anch'egli piemontese, esiliato invece in Lucania: prima a Grassano e poi ad Aliano, nel materano.
Nel 1967, a cura di Giuseppe Taffarel, fu realizzato un documentario dal titolo “Il confino di Cesare Pavese”, oggi reperibile in rete.
Ma cosa fare e vedere a Brancaleone?
Centro dal nome curioso, ha bella e frequentata località marina e paese storico abbandonato, con ruderi della vecchia Bruzzano e della fortezza di Rocca Armenia. Brancaleone Superiore era il nome del vecchio borgo, dai primordi risalenti al VI secolo d.C. circa. È stato definitivamente abbandonato nel 1953, dopo una brutta alluvione.
Determinante, per la crescita e poi per la stabilità di questa zona, il ruolo dei basiliani: i monaci seppero arricchire la zona, anche in cultura.
Tante grotte e croci caratterizzano l'area rupestre, a qualche chilometro di distanza dal centro urbano.
Splendore derivato anche dal contatto con la natura, dunque.
Una comunità con una certa consistenza: da qui il castello, di cui oggi non si hanno che piccoli ruderi. Terra anche di terremoti storici, questa: si pensi a quelli del 1783 e poi del 1908, circostanze che, unite allo spopolamento partito dall'unità d'Italia in poi, hanno contribuito al drastico calo demografico.
Una storia comune a tantissimi centri meridionali.
Due borghi, quindi, dove respira il canto di Pavese: quello natale e ancestrale e poi quello di una terra dove il nostro non andò per piacere, ma che seppe far sua, affratellandosi ai calabresi, nella migliore ottica di incontro tra le genti e le culture.