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Cagliostro: storia di un avventuriero temerario rinchiuso nel forte di San Leo


Sabato 16 settembre 2017

Molti nomi e pochi scrupoli. Il protagonista di questa storia di certo non vi farà annoiare con le sue mille peripezie e grazie a lui potremo scoprire un insolito passato della maestosa fortezza di San Leo.

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Cagliostro: storia di un avventuriero temerario rinchiuso nel forte di San Leo

In provincia di Rimini, tra frastagliati speroni, sul punto più alto della cuspide rocciosa del borgo di San Leo, si erge l’omonimo forte che con la sua imponenza domina l’intera Valmarecchia. La fortezza oggi ospita un museo d’armi e una pinacoteca, ma in passato era impiegata in ben altro modo…

La rocca gode di un prestigio secolare: in passato fu contesa da popoli come Bizantini, Goti, Franchi e Longobardi, per poi arrivare a nobili come Cesare Borgia e i Montefeltro. In seguito, dal 1527 al 1631 San Leo appartenne ai Della Rovere, che adibirono l’edificio a carcere. Ad accrescerne la fama, infatti, non sono stati tutti quei contendenti blasonati, bensì un “ospite speciale” dal lignaggio decisamente più basso, anche se dal suo nome non si direbbe: Giuseppe Balsamo, conosciuto ai più come il Conte di Cagliostro.

Personaggio eclettico, Giuseppe Giovanni Battista Vincenzo Pietro Antonio Matteo Franco Balsamo, nacque il 2 giugno 1743 a Palermo. Dopo un’infanzia tormentata, la sua vita proseguì dentro e fuori dal carcere tra mille espedienti, viaggiando (o meglio, scappando) in tutta Europa insieme a sua moglie Lorenza, da lui costretta ad una vita all’insegna della prostituzione sotto il falso nome di Serafina. A Londra il palermitano decise di assumere il nome di Alessandro, Conte di Cagliostro, e venne avviato alla Massoneria. Proseguì il suo rocambolesco tour europeo spacciandosi per taumaturgo, alchimista e medico, fino ad arrivare a Strasburgo, dove conobbe il cardinale Rohan, l’ambasciatore francese cacciato da Luigi XVI e Maria Antonietta per aver parlato male di sua madre, Maria Teresa d’Austria. Cagliostro, desideroso di impossessarsi di una preziosissima collana di diamanti, coinvolse Rohan in quello che passò alla storia come “lo scandalo della collana”, azione che costò al conte e a sua moglie l’incarcerazione alla Bastiglia. Giuseppe Balsamo arrivò al culmine della sua attività criminale nel 1783 fondando una loggia massonica di Rito Egiziano, ma le sue innumerevoli peripezie giunsero al termine qualche anno dopo, quando sua moglie lo denunciò al parroco di Santa Caterina della Rota, che decise di affidare la questione all’Inquisizione. Il 27 dicembre 1789 l’avventuriero massonico venne arrestato e rinchiuso nelle carceri di Castel Sant’Angelo. Subì un duro processo che si concluse il 7 aprile 1790 con la condanna a morte per eresia e attività sediziose. Ciononostante Papa Pio VI, dopo aver ricevuto una sua lettera, decise di concedere una grazia al condannato: a Cagliostro venne risparmiata l’esecuzione, a patto però che i manoscritti insieme venissero distrutti nella pubblica piazza insieme a tutti gli strumenti massonici e che il Conte venisse rinchiuso a vita in una fortezza isolata sotto stretta sorveglianza.

Venne scelto dunque il forte di San Leo, descritto dall’archiatra pontificio Monsignor Gianmaria Lancisi come una rocca sperduta in cui vi erano scavate cantine e grotte caratterizzate da un lento e costante gocciolamento d’acqua. Dopo l’abiura del 13 aprile 1791, quindi, l’eretico venne relegato in un primo momento nella “cella del Tesoro”, la stanza più sicura ed isolata della fortezza, ma anche la più buia ed umida dalle pessime condizioni igieniche, in una condizione di totale isolamento, senza alcuna di possibilità di parlare, nemmeno con le guardie, nonché privato di libri, carta, penna ed inchiostro.

Successivamente, In seguito ad alcune voci sull’organizzazione di una fuga da parte di alcuni sostenitori di Cagliostro, venne trasferito nella “cella del Pozzetto”, ovvero la stanza più angusta, le cui uniche aperture all’epoca erano una botola, dal quale venne calato il Conte stesso, una finestra a triple inferiate che dava sulla pieve ed uno spinciono dal quale le guardie potevano osservarlo.

Il 26 agosto 1795, l’avventuriero si spense. Questo l’atto di morte scritto dall’arciprete Luigi Marini:

“Giuseppe Balsamo, soprannominato Conte di Cagliostro, di Palermo, battezzato ma incredulo, eretico, celebre per cattiva fama, dopo aver diffuso per diverse Nazioni d’Europa l’empia dottrina della massoneria egiziana, alla quale guadagnò con sottili inganni un numero infinito di seguaci, incappò in varie peripezie, alle quali non si sottrasse senza danno, in virtù della sua astuzia e abilità; finalmente per sentenza della Santa Inquisizione relegato in carcere perpetuo nella rocca di questa città, con la speranza che si ravvedesse, avendo sopportato con altrettanta fermezza e ostinazione i disagi del carcere per quattro anni , quattro mesi, cinque giorni, colto da un improvviso colpo apoplettico, di mente perfida e cuore malvagio qual era, non avendo dato il minimo segno di pentimento, muore senza compianto, fuori della Comunione di Santa M. Chiesa, all’età di cinquantadue anni, due mesi e diciotto giorni. Nasce infelice, più infelice vive, infelicissimo muore il giorno 26 agosto dell’anno suddetto verso le ore 22,45.

Nella circostanza fu indetta pubblica preghiera, se mai il misericordioso Iddio volgesse lo sguardo all’opera delle sue mani. Come eretico, scomunicato, peccatore impenitente gli viene negata la sepoltura secondo il rito ecclesiastico. Il cadavere è tumulato proprio sulla estrema punta del monte che guarda ad occidente, quasi ad uguale distanza tra i due fortilizi destinati alle sentinelle, comunemente denominati il Palazzetto e il Casino, sul terreno della Reverenda Camera Apostolica il giorno 28 alle ore 18,15.”

Non tutti, però, credono a questa versione e sulla morte del Conte aleggiano non pochi misteri, ancora oggi irrisolti.

C’è chi pensa che Cagliostro non morì per un colpo apoplettico, bensì per un colpo alla testa, inflittogli mentre tentava di scappare dalla sua cella.

Un’altra macabra leggenda, invece, narra che nel 1797 quando le truppe polacche trovarono il suo cadavere dopo essersi impossessati della rocca, utilizzarono il cranio del criminale per brindare alla loro conquista.

Infine, per gli amanti del detto “il lupo perde il pelo, ma non il vizio”, c’è chi sostiene che Giuseppe Balsamo non abbia mai perso la sua indole di criminale e che abbia in realtà ucciso il suo confessore, per poi impossessarsi dei suoi abiti e scappare. Alcuni testimoni, infatti, dissero di averlo visto anche dopo quel “fatidico” 26 agosto.

Tuttavia, non è poi così importante scoprire quale di queste leggende sia vera e neppure se il conte morì durante la sua prigionia oppure no. In fondo, fu proprio Cagliostro a dichiarare:

“Io non sono di nessuna epoca e di nessun luogo; al di fuori del tempo e dello spazio, il mio essere spirituale vive la sua eterna esistenza…”

E se ancora oggi a San Leo – e non solo – si parla di lui, dobbiamo ammettere che lo strambo palermitano dalle mille identità, ma dai ben pochi scrupoli, non aveva poi tutti i torti.

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