Scanno è un'importante stazione di soggiorno invernale ed estivo ed è nota come il borgo dei fotografi. I suoi inconfondibili scorci e la sua gente sono stati lungo tutto il Novecento i soggetti di tanti famosi scatti realizzati da Hilde Lotz-Bauer, Henri Cartier-Bresson, Mario Giacomelli, Renzo Tortelli, Gianni Berengo Gardin, Ferdinando Scianna, Mario Cresci e molti altri. Nel 1964 fu proprio una fotografia scattata a Scanno da Mario Giacomelli ad entrare a far parte della prestigiosa collezione di opere fotografiche del Museum of Modern Art di New York. Questa immagine è conosciuta come Il bambino di Scanno, o Scanno Boy.
L'origine del nome comunemente si fa risalire al latino scamnum (sgabello), perché il colle su cui è stato costruito il centro storico somiglierebbe ad una piccola panca. Come risulta da una lapide romana conservata nel Museo della lana Scanno risulta già abitata in epoca romana, all'estremità nord del territorio dei Sanniti. Durante le invasioni barbariche Scanno rimane illesa per la struttura difensiva dei monti intorno al paese, ma durante le invasioni saracene prima ed ottomana poi invece non subì le stesse sorti. In questo periodo Scanno ha delle influenze orientali per il vestito femminile del paese. Infatti il copricapo femminile sembra un turbante, mentre i drappeggi del vestito sono colorati alla maniera orientale. Durante il Medioevo segue le vicende feudali del contado peligno.
Tra la fine del XIX secolo e l'inizio del XX secolo si ha l'affermazione di botteghe orafe nel paese, anche se la prima notizia di un orafo locale è del 1718. Nel centro storico vi sono molte botteghe orafe, tanto che la strada, detta localmente la ciambella, è anche nota come la via degli orafi. Nella seconda metà del XIX secolo si andrà a sviluppare nel paese la moda della presentosa con uno o due cuori o due chiavi entro una stella. Il monile è di importazione napoletana, teatina o molisana e finisce per diventare un dono d'amore o ad assumerne il significato. Ancora oggi le donne girano per il borgo indossando il costume tipico locale, e le botteghe del centro storico sono ricche di oggetti ornamentali di questo abito. Un'altra peculiarità delle botteghe di Scanno è quella della lavorazione del tombolo, che risale alla prima metà dell'Ottocento.
Il terremoto della Marsica del 1915 distrusse completamente Frattura vecchia. Centro che si spostò nel sito originario col nome di Frattura nuova o semplicemente di Frattura. Durante la seconda guerra mondiale, Carlo Azeglio Ciampi (cittadino onorario) si rifugiò a Scanno, ospitato da una signora del posto. Il terremoto dell'Aquila del 2009 provoca lievi danni alla Chiesa della Madonna delle Grazie e alla Chiesa di Sant'Antonio da Padova.
L'attuale centro storico di Scanno si formò dall'aggregazione di vari nuclei urbani o vicus. Il più antico di essi è Betifulo, in seguito ribattezzato Sant'Angelo in epoca cristiana. Tra i secoli XII e XIII gli abitanti si trasferirono da Sant'Angelo in località Scamnum o Scagium o Scampium che corrisponde all'attuale zona della chiesa di sant'Eustachio. I centri urbani di certo non si fusero prima del 1447 in quanto in quella data si ha notizia di alcuni edifici ancora disabitati. Il processo di espansione e di unificazione delle contrade di Scanno pare partire dalla zona alta del paese odierno, cioè la zona detta Terra Vecchia ove si aprivano le tre porte di accesso.
Tra la seconda metà del Quattrocento e in tutto il Cinquecento il nucleo abitato si espanse a sud e ad ovest, mentre nei due secoli successivi Scanno conobbe un ulteriore espansione ma anche la saturazione di spazi edificabili liberi entro le mura: infatti fino a tutto il XIX secolo l'espansione si concentrò entro le mura, e solo nel 1909, quando venne costruita la strada Scanno-Villetta Barrea, vennero distrutte le mura urbane, il campanile della Chiesa di San Rocco ed alcuni palazzi; le rimanenti mura sono state inglobate in costruzioni più recenti.
Caratteristico è l'itinerario nel centro storico detto la "ciambella" che dalla Chiesa di Santa Maria della Valle arriva alla Fontana Sarracco per arrivare poi alla Piazza di San Rocco e ritornare tramite Via Silla e Via De Angelis al punto di partenza. Il sistema viario è un intricarsi di vie, viuzze e vicoletti che si incrociano a trama fitta con le vie principali; queste viuzze erano pedonali fino agli inizi del Novecento prima della sostituzione del manto originario con delle pavimentazioni per strade carrozzabili. Recentemente alcune strade sono state recuperate con lastre di marmo e sampietrini che hanno preso il posto di ciottoli di fiume.
Meritano sicuramente una visita la chiesa di Santa Maria della Valle, la Chiesa di Sant'Antonio da Padova, quella della Madonna di Costantinopoli ed infine l'Eremo di Sant'Egidio. Di notevole interesse sono la località di Frattura, la Fontana Sarracco, quella del Pisciarello, i numero palazzi e portali del centro storico e le cemmause, un tipo di scala d'accesso alle abitazioni di Scanno esterne alle abitazioni stesse terminanti in un ballatoio o pianerottolo, con gli scalini (localmente detti le schèle) realizzati in pietra. Un arco permette alla scalinata di sorreggersi, infine la cemmausa viene coperta da una tettoia sostenuta da travi lignee su cui poggiano delle assi di legno (localmente dette scànzule) generalmente in faggio e da tegole (localmente dette pinci). Infine, merita una visita il Museo della Lana, che ospita una mostra di arnesi ed attrezzi agricoli e della lavorazione della lana. Un museo simile è a Frattura col nome di Museo delle Arti e Tradizioni Popolari, che raccoglie più o meno lo stesso tipo di utensili ed è sito presso la chiesa centrale della frazione di Scanno.
Borgo di Scanno
Comune di Scanno
Provincia di L'Aquila
Regione Abruzzo
Abitanti: 1.822 scannesi
Altitudine centro: 1050 m s.l.m.
il Comune fa parte di:
I Borghi più belli d'Italia
Riconoscimenti
Bandiera Arancione - Touring Club Italiano
Bandiera Blu
Aree naturali protette:
Parco Nazionale d'Abruzzo, Lazio e Molise
Riserva Naturale Feudo Intramonti
Il Comune
Via Napoli - Tel. +39 0864 74545
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Scanno è una vera e propria miniera enogastronomica ed il suo territorio è ricco di produzioni locali, prima fra tutte quella casearia, i cui formaggi derivano dal latte di pecora proveniente da pascoli locali. Tra questi sono da menzionare il pecorino classico, la ricotta dalla buccia nera (la stagionatura in assenza di luce produrrà uno strato ossidato in un primo momento bianco che poi diviene dapprima grigio, poi nero, che conferisce al prodotto un gusto particolare), il Gregoriano, il Capriccio di pecora e la Caciotta di pecora, conservata in salamoia.
Tra i vari salumi prodotti localmente sono da annoverare le salsicce, a volte cotte alla brace, i salami aromatizzati (tartufo, aglio e vino), gli angioletti e diavoletti (dolci o piccanti), salame ripieno di lardo, le salamelle di tratturo e i coglioni di mulo.
La cucina locale vanta, tra i primi piatti, le Sagne con i fagioli o con la ricotta, i maccheroni alla chitarra con sugo d'agnello o castrato, i Cazzellitti con le foglie (o con le fuoja), una sorta di gnocchi fatti con farina ed acqua, lessati con l'acqua con cui viene cotta la fuoja, una verdura che cresce nei dintorni di Scanno ad un'altitudine di 2000 metri. Sono da menzionare anche lo Zuppettone, con carne di agnello o capretto, uova e pecorino locale, e la Polenta bianca con fagioli, verza, patate e soffritto d'aglio.
Infine tra i dolci vi sono i Mostaccioli, fatti con mosto cotto, farina e mandorle, ricoperti di glassa bianca o cioccolata, il Pan dell'Orso, le Ferratelle, le mandorle atterrate, i Tozzetti alle mandorle, il Panetto d'Abruzzo e la Cerasella di Scanno.
L'isolamento del paese, nel corso dei secoli, fece in modo che il vestito delle donne di Scanno si sviluppasse in modo autonomo e privo di modelli a cui ispirarsi, a ciò si aggiunse la voglia delle giovani scannesi di arricchirsi di ornamenti muliebri per quanto possibile preziosi, sebbene autoctoni, atti ad impreziosire il proprio abbigliamento e primeggiare in bellezza e fascino, talvolta ingelosendo amiche e rivali. In tal modo una gonna, per la ricchezza di ornamenti, giungeva fino al tallone. Nonostante l'unicità del vestito, esso per tipologia e caratteristiche afferisce al tradizionale abbigliamento femminile della Conca Peligna e dell'Alto Sangro.
La gonna può arrivare a pesare fino a 15 kg in stoffa. All'interno è arricchita da una striscia di panno lana rosso alto fino a 10 cm. Tale tessuto, volgarmente detto la pedéra, serve a proteggere le gambe dalla polvere e dal fango. La gonna attuale, però, è provvista di un solo panno, di colore verde scuro, prodotto e tinto in paese. Fino al Settecento le gonne erano di vari colori, e non è improbabile che ogni colore stesse ad indicare un ceto sociale.
Il corpetto viene chiamato volgarmente ju cummudene, difforme dagli altri dei paesi limitrofi, oltre che per il tipo di tessuto, anche per la larghezza delle maniche che si restringono in pieghe nei polsi e all'attaccatura alle spalle. Viene allacciato anteriormente con una fila di bottoni che termina in una sacca detta volgarmente la buttunera a forma di triangolo rovesciato. Nel costume per le grandi occasioni i bottoni sono in oro, mentre nel vestito per tutti i giorni sono in osso. La pesantezza del vestito, ma anche l'esigenza di avere un vitino da vespa costringono gli stilisti a realizzare un corpetto di forma appuntita. Un'orlatura di seta dona al vestito una sobria linea. Nella svasatura del collo si affaccia la gorgiera che viene realizzata al tombolo. Localmente, la gorgiera viene detta la scolla. La mandera, o il cosiddetto grembiule, è broccato nel vestito festivo con colori che spaziano dal bianco al celestino spesso con filigrana d'oro o d'argento, mentre nel vestito di tutti i giorni i colori sono più semplici, ma allo stesso tempo più ricercati.
Il cappello, volgarmente detto ju cappellitte, la parte del vestiario femminile più al centro di dibattiti degli studiosi, è realizzato con tre elementi essenziali: ju viulitte (il velo), la tocca (la federa, introdotta nel Settecento) ed infine e ju fasciatore, una sorta di fascia di seta azzurra che ricadeva sulla nuca in maniera vezzosa fin sulle spalle.
Invece, il cappello di tutti i giorni viene chiamato 'ngappatura, dal latino cappa (da cui cappello), realizzato in seta bianca. Con il disuso nel corso dei secoli della rete per i capelli vennero aggiunti dei lacci composti da dei cordoncini di seta rossi per la festa di Sant'Eustachio, azzurri per la festa della Madonna delle Grazie, marroni per la festa della Madonna del Carmelo, vivacemente variopinti per Natale, neri per i giorni di lutto, viola per il mezzo lutto, rosso vivo per il fidanzamento e bianco per le nozze.