Un tempo Masserano era la capitale dell'antico principato che si estendeva fino ai confini della Valsesia. A levante la Strada Maestra che già in epoca romana portava da Vercelli alla Valsesia attraverso Buronzo, Castelletto Cervo, Sostegno, Crevacuore, Guardabosone e Postua e, varcando il guado a Castelletto, dava accesso al Biellese orientale. A ponente la Lessonasca che dalla pianura, per Mottalciata e Lessona, conduceva alle montagne di Mosso e di Trivero.
Verso l’anno 1000 fu costruita a Masserano una rocca, o castello, di cui ancora oggi si possono vedere alcuni ruderi dietro l’attuale Palazzo Principesco. Essa fu edificata in una buona posizione, poco distante da un primo nucleo di case che divenne il Borgo, oggi Borgo Inferiore. Il nuovo castello ebbe subito molta importanza sia per la costruzione stessa, sia per la sua posizione strategica. Ciò attirò l’attenzione dei vescovi di Vercelli, che ne fecero uno dei quattro cardini difensivi del loro ormai declinante dominio temporale. Il motivo per cui i Fieschi diventarono signori di Masserano è da ascrivere al legame di parentela con un vescovo di Vercelli, Giovanni Fieschi. I Fieschi appartenevano ad un’antica famiglia feudale ligure, i conti di Lavagna. Nella manovra di acquisizione di nuove terre e alleanze, poterono disporre dell’aiuto del vescovo Giovanni Fieschi.
Durante le lotte contro i Visconti, fra il 1372 e il 1376, i castelli di Masserano e di Crevacuore rimasero sempre nelle mani del vescovo Giovanni, che provvide a porli sotto la protezione della Santa Sede, pur rimanendo lui il proprietario legittimo per garantire neutralità alle terre Masseranesi. Il passaggio ai Fieschi divenne definitivo quando il vescovo, mentre veniva stipulata la pace nel 1376 tra i Visconti e la lega, passò ogni suo diritto su Masserano, Crevacuore e Moncrivello ad un altro suo fratello, Nicolò. Masserano divenne così un marchesato, con il matrimonio tra Filiberto Ferrero-Fieschi e Camilla Sforza, nipote di papa Paolo III Farnese, celebrato a Roma il 18 aprile 1546. Nel 1598 diventò invece Principato, con Francesco Filiberto primo Principe di Masserano, e lo rimase fino al 1741, finché non venne venduto dalla Santa Sede a Casa Savoia, che incorporò l’antico Feudo Pontificio nello Stato Sabaudo.
Il ricco patrimonio lasciato dai Principi di Masserano adesso è custodito nel Polo Museale Masseranese, che comprende: la Reggia dei Principi Ferrero-Fieschi, la Chiesa Collegiata, la Chiesa di San Teonesto e la Chiesa di Santo Spirito. Il museo è gestito dall’Associazione Culturale Don Vittorino Barale ed organizza eventi, visite guidate e itinerari alla scoperta del borgo e dei suoi monumenti, oltre a laboratori didattici per le famiglie e le scuole.
Borgo di Masserano
Comune di Masserano
Provincia di Biella
Regione Piemonte
Abitanti: 2.112 masseranesi
Altitudine centro: 341 m s.l.m.
il Comune fa parte di:
Comuni fioriti
Unione Prealpi Biellesi
Aree naturali protette:
Riserva naturale orientata delle Baragge
Il Comune
Via Roma 190 - Tel. +39 015 96927
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Nonostante l’industria tessile e meccanica svolgano un ruolo abbastanza importante per l’economia di Masserano, sono ancora fiorenti l’agricoltura e più sporadicamente l'allevamento del bestiame e l'artigianato. L’attività agricola più praticata a Masserano è la viticoltura.
Vino tipico riconosciuto DOC nel 1979 è il Bramaterra, di colore rosso granato, presenta un profumo intenso ed un sapore asciutto e vellutato con un sottofondo amarognolo. Prodotto utilizzando in prevalenza uve di Nebbiolo si abbina a brasati e arrosti, bolliti, selvaggina e formaggi stagionati. Un altro vino di questa zona è il Coste della Sesia, del tutto simile al Bramaterra ma con una minore età di invecchiamento e una gradazione alcolica inferiore.
Nella pianura della Baraggia si coltiva il riso di qualità fino Sant’Andrea e quelli superiori Carnaroli e Baldo. Per la sua posizione favorevole e soleggiata, Masserano offre pregiate produzioni di mieli di acacia, castagno e millefiori. Un prodotto tipico della gastronomia è invece la Paletta, un salume ricavato dalla spalla del maiale, che viene cotto e pepato in abbondanza.
La Bundansa di Rongio, nei pressi del borgo di Masserano, è la tradizionale accensione del falò della notte di Natale. L’accensione dei falò alla vigilia di Natale era una tradizione molto diffusa in buona parte del Biellese orientale. Si tratta di un rito complesso ed articolato caratterizzato da una tecnica costruttiva elaborata, con una particolare struttura portante e la scelta non casuale dei materiali utilizzati. L’allestimento del falò avviene su di un rilievo, in modo da essere visibile a grande distanza. Sulla sommità del falò si fissa un alberello di ginepro o di un altro sempreverde. Di solito si preparano anche delle girandole infuocate, formate generalmente da corteccia essiccata e legata ad un filo di ferro, che si fanno roteare prima o durante l’abbruciamento del falò. In passato si attribuiva una funzione divinatoria alla direzione assunta dal fumo e dalle faville e si intonavano strofe inneggianti al falò o di scherno, nei confronti degli abitanti dei paesi vicini. Si accendevano falò anche al Canarone, alla Bonda, a Scalabrino, alla Cascina Bianca, alla Rocca, a ‘n Gam. Nella maggior parte dei casi la tradizione cessò negli anni precedenti alla seconda guerra mondiale, ma in alcuni casi proseguì sino ai primi anni Cinquanta. Oggi sopravvive solo a Rongio, dove è stata ripresa in modo continuativo a partire dal 1977.